Giuseppe Conte non presiede più il Movimento. È sospeso. E incarna così meglio che mai il M5S, che già da un po’ galleggia in una lunga sospensiva politica. L’avvocato romano Lorenzo Borré, in rappresentanza di un gruppo di militanti della prima ora, lo aveva anticipato al Riformista la settimana scorsa: “Conte sta per saltare”. Ieri il Tribunale di Napoli, cui i ricorrenti si erano rivolti, ha dato loro ragione. Sotto la lente della giustizia tutto il passaggio segnato da vizi formali con cui Conte – nella vita, consulente giuridico esperto in diritto civile – ha preso il potere nel Movimento nell’estate dell’anno scorso, succedendo alla reggenza di Vito Crimi.

L’invalidità della delibera con cui è stato modificato lo statuto del Movimento 5 Stelle inficia anche la validità della delibera del 5 agosto con cui l’avvocato del popolo era stato nominato presidente. Alla base della decisione, la comprovata alterazione del quorum assembleare nella deliberazione di modifica statutaria. Provvedimento adottato sulla base di un’assemblea formata da soli 113.894 iscritti (quelli da più di sei mesi) in luogo dei 195.387 associati iscritti a quella data; con l’illegittima esclusione di 81.839 iscritti all’ente dal quorum costitutivo e deliberativo, i risultati finali sono privi dei requisiti di legittimità. Questo detto, lo statuto comunque “non prevedeva la figura del presidente quale organo dell’associazione, pertanto la sua nomina appare a sua volta in contrasto con le regole statutarie”, conclude la corte.

In punta di diritto, i giudici della settima sezione civile del tribunale di Napoli congelano l’autorità di Conte sul primo partito del Parlamento. Il Movimento nato digitale soccombe sotto i colpi delle carte bollate. Siamo al corto circuito: il progetto imperniato su Conte, sostenuto dal giornale delle Procure – e fortemente voluto da Marco Travaglio – viene scardinato da un collegio togato. Dunque il M5S fa un passo indietro nel tempo: vengono azzerate le ultime nomine e si torna al vecchio ‘assetto’, che prevedeva un comitato direttivo composto da 5 membri. Oltre che le votazioni sulla piattaforma Rousseau. Stop anche ai cinque vicepresidenti, scelti successivamente a quello statuto. L’ordinanza produce anche un altro effetto: riabilita il voto su Rousseau, la creatura di Davide Casaleggio. In un passaggio della pronuncia c’è infatti scritto nero su bianco che l’impossibilità di trattare i dati in possesso della vecchia piattaforma del M5S, sollevata dagli attuali vertici pentastellati in sede processuale, non è da considerarsi un motivo tecnico valido per fermare le richieste dei ricorrenti.

“Le delibere impugnate dall’Associazione Movimento 5 Stelle con cui è stato modificato il suo statuto e subito dopo nominata la neonata figura di presidente vanno sospese in attesa dell’esito del giudizio di merito – si legge infatti nell’ordinanza – E l’adozione della presente cautela non potrebbe dirsi preclusa dall’asserita potenziale insorgenza di problematiche di ordine tecnico connesse al funzionamento della pregressa ‘piattaforma’, trattandosi di eventuali aspetti di carattere meramente operativo suscettibili di svariate possibili soluzioni la cui individuazione resta concretamente riservata agli organi della associazione”. Ovvero: Rousseau può tornare, se Casaleggio volesse. Nel M5S si scatena il panico. Nella disfida tra Conte e Di Maio, l’80% dei parlamentari aveva pensato bene di mettersi al riparo sotto l’ombrello del primo. Al suo vacillare, il fuggi fuggi è generale. “Adesso dobbiamo tutti capire”, allarga le braccia Vincenzo Spadafora. È prudente il suo maestro di sempre, Guido Alpa: “Non ho ancora letto il provvedimento”. Tra i dimaiani, è giubilo. Tra i dissidenti, festa grande. “Tocca di nuovo a Beppe Grillo, in veste di garante, delineare le prossime tappe”, dice una attivista indomita della prima ora, Daniela Castiglione.

Il Movimento in serata prova a metterci una pezza: “Avevamo già in programma, proprio in questi giorni, la convocazione di un’assemblea per sottoporre al voto degli iscritti alcune modifiche statutarie in adesione ai rilievi della Commissione di garanzia per gli statuti e la trasparenza dei partiti politici. Sarà questa l’occasione per proporre agli iscritti la ratifica delle delibere sospese in via provvisoria”. E prova a farsi sentire l’interessato, prima di andare a calcare le scene mai troppo ostili di Ottoemezzo. “La mia leadership nel M5S – dice Conte – si basa su una profonda condivisione di valori e principi. È un legame politico, prima che giuridico, non dipende dalle carte bollate”, trova il modo di contestare. Non sembri scortese ricordargli una dichiarazione del settembre 2019: “Io non sono del M5S, sono in una posizione neutrale rispetto ai partiti di maggioranza”, aveva tenuto a specificare ai tempi del Conte I.

Tutto cambia in fretta. Ma per Lorenzo Borré, l’avvocato che ha vinto sull’altro avvocato, è arrivato alla fine della corsa. “Conte attualmente non ha più poteri decisionali e non può dettare soluzioni”. E ora, dunque? “Grillo ora dovrebbe procedere a una votazione per eleggere i cinque componenti del direttivo, peraltro sulla piattaforma Rousseau”. Poi aggiunge sorridendo: “Con le dimissioni dal Comitato di garanzia, Di Maio ha precorso i tempi”. Come lui, che già da tempo aveva previsto la fine di questa vicenda.

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Ph.D. in Dottrine politiche, ha iniziato a scrivere per il Riformista nel 2003. Scrive di attualità e politica con interviste e inchieste.