Garbo istituzionale, pax mattarelliana. La si chiami come si vuole, ma quella cosa lì – la parentesi di rispetto per la cerimonia di insediamento del Mattarella bis – adesso è finita. Può iniziare il redde rationem nei partiti, la corsa interna a rimettersi al sicuro in lista, la rincorsa verso la campagna elettorale. E il governo Draghi I, per come è stato fino a oggi, ne subirà inesorabilmente le conseguenze più immediate.

I problemi interni del Movimento preoccupano tutti: Conte e Di Maio si accusano reciprocamente di sabotaggio, di smarrimento degli ideali, di incoerenza con il mandato. Per interposto tweet, se ne danno di santa ragione in un’escalation quotidiana di tensione che potrebbe risolversi oggi o domani con una decisione inedita. Uno strappo: Conte sta lavorando a una doppia ipotesi per chiedere a Mario Draghi di sostituire il ministro degli Esteri, che di fatto non rappresenta più il partito. Potrebbe, in un primo caso, dar vita ad un confronto con Di Maio in diretta streaming, da trasformare in processo vero e proprio, al termine del quale pretendere dal titolare della Farnesina un passo indietro dal partito e dagli incarichi ricoperti. Oppure in un altro caso affidare alla piattaforma Skyvote un voto elettronico sulla testa del ministro degli Esteri, che – è facile prevedere – otterrebbe con un agevole giro di clic.

L’ex premier consumerebbe così la sua doppia vendetta, sul suo incumbent al governo – cui inizia da subito a dare filo da torcere – e sul suo predecessore alla guida del M5s, quel ‘giovane portentoso’ mai digerito dall’Avvocato del popolo ma fin troppo apprezzato da Palazzo Chigi. Il divorzio che si sta preparando nel Movimento può avere ripercussioni forti sulla stabilità del sistema: Conte medita di imporre una crisi pilotata al governo attraverso un tavolo di maggioranza che, pur garantendo l’appoggio del suo partito e in generale di tutti gli altri partiti a Draghi, chieda di redistribuire i pesi e le misure: insisterà sulla difesa strenua del superbonus e sul reddito di cittadinanza, aggiungendo di dover cambiare alcuni nomi in posizioni chiave per destrutturare la cordata dimaiana. Tre colpi di cannone contro l’ex pupillo prediletto cui anche Beppe Grillo ha voltato ormai le spalle. Via Laura Castelli dal Ministero dell’Economia. Via la sottosegretaria Dalila Nesci, per di più colpevole di un voltafaccia intollerabile nei riguardi di Conte. E via dalla Farnesina quel Manlio Di Stefano che, da sottosegretario, ricalca troppo da vicino Di Maio.

Le strade per arrivarci sono due, dicevamo: la disfida in diretta oppure il voto digitale, e ci vengono confermate da diverse fonti interne ai Cinque Stelle. «Noi siamo pronti a entrare in fase operativa», ci conferma Giovanni Di Sotto, l’ingegnere a capo della piattaforma Skyvote che nel Movimento ci fanno sapere di essere pronti a usare. La ghigliottina informatica per concludere la storia pentastellata di Luigi Di Maio è pronta, la stanno oliando. «Ho bisogno di 24 ore dall’input alla messa in funzione», dettaglia Di Sotto.

«Il Movimento ha le chiavi di accesso: il contratto prevede che mi mandino il giorno prima le domande sulle quali la platea degli iscritti deve votare e io abilito la piattaforma per un voto sicuro e certificato». E così, zac. L’Italia perderebbe il ministro degli Esteri. Che prefigura benissimo la ricetta con cui Conte lo vuole cucinare e corre ai ripari: Raggi, Appendino, Belloni sono state ricevute e blandite da Di Maio. «Tutte le cancellerie d’Europa sono in massima allerta per la guerra in Ucraina. Tutti i ministri degli Esteri convocano i consiglieri diplomatici, Di Maio convoca la Raggi e telefona all’Appendino», trova il modo di ironizzare Matteo Renzi.

Anche nel Pd si sono accorti che l’incendio in corso in casa del vicino rischia di intossicare tutti, forse di mandare in fiamme il governo intero. Il più avvertito sulla questione è il ministro della Difesa, Guerini. Di Maio ha stabilito con lui una linea di contatto continua che arriva – per Conte – come fumo negli occhi. Un altro big del Pd è convinto che quando i nodi verranno al pettine, ovvero “quando dopo la pandemia verranno a galla i problemi sociali” l’ex presidente del Consiglio si staccherà dall’esecutivo, “per rilanciare la sua leadership e ricompattare la pancia del Movimento”. Complice la regìa del Fatto Quotidiano – come ci confermano dagli uffici M5s di Montecitorio – Alessandro Di Battista sta dando manforte a Giuseppe Conte.

E lo stesso fa il presidente della Camera, Roberto Fico. La campagna di posizionamento ha la meglio su tutto, non c’è amicizia che tenga. E la singolar tenzone procede senza esclusione di colpi. Se la Procura di Roma scava sulle fatture di Conte, l’antiriciclaggio di Bankitalia ha messo nel mirino le consulenze “bulgare” del sodale di Conte, Luca Di Donna, che ha rappresentato la “regina delle Cryptovalute” Ruzha Ignatov. Dal giorno dell’avvio del governo Conte, Di Donna ha incassato oltre trecentomila euro dai bulgari per una attività dai contorni opachi, sulla quale ora indagano le autorità bancarie.

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Ph.D. in Dottrine politiche, ha iniziato a scrivere per il Riformista nel 2003. Scrive di attualità e politica con interviste e inchieste.