Il Movimento 5 Stelle è come quelle cittadine dei film Western: troppo piccolo per ospitare due rivali. Dove i due contendenti sono Luigi Di Maio e Giuseppe Conte, la carica contesa è quella della leadership – la Presidenza, nel nuovo statuto – e l’obiettivo vero quello di guadagnare quel che serve per tornare in Parlamento con dignità. Bersaglio non facile da centrare, avendo i Cinque Stelle voluto ridurre di un terzo i seggi, ed avendo prima subìto il dimezzamento nei sondaggi e poi un dimezzamento da fuoriusciti.

Se riavvolgiamo il nastro, nell’ultimo anno (che è stato anche l’annus horribilis di Beppe Grillo, alle prese con due brutte vicende penali) tutto si è svolto intorno a una diarchia di fatto. Conte nell’agosto 2021 ha sfilato il Movimento a Di Maio, che lo guidava come Capo politico dal 2017. Appena sei mesi in cui il M5S ha perso un po’ tutto quello che poteva perdere: uno sfracello le amministrative, con il simbolo caduto in disgrazia un po’ ovunque e tante città rimaste senza candidati, le sconfitte sonore di Roma e Torino, le fughe continue dei parlamentari con sei formazioni gemmate dalle scissioni, la mala parata in Rai, conclusa tra le gaffes, infine le trattative sul Quirinale che certificano più che l’ininfluenza di Conte, la sua eterodirezione. Le manovre per eleggere Belloni sul Colle rimangono oscure.

Sul fronte opposto, il ministro Di Maio per il quale d’un tratto tutti fanno il tifo: “Sta imparando, sta migliorando”, dice un coro crescente, neanche fosse un nipotino mandato a studiare all’estero. E proprio come nelle vicende scolastiche, ecco che ieri titolare degli Esteri ha prima riunito alla Farnesina una storica alleata di Conte, Virginia Raggi, poi pranzato con Elisabetta Belloni, alla quale ha intestato, virgolettandoli, i complimenti che lei avrebbe rivolto al Ministro. «“Con il Ministro Di Maio c’è un’amicizia sempre più solida. Di Maio è sempre leale”. Queste le parole di Elisabetta Belloni, alla quale mi legano una profonda stima e una grande amicizia. Una professionista straordinaria, con un immenso attaccamento alle Istituzioni. Oggi a pranzo ho fatto una piacevole chiacchierata con lei. Grazie Elisabetta, condivido pienamente quello che pensi del nostro rapporto», sigla con solennità adolescenziale il ministro. La nota di colore sul “loro rapporto” è tutta indirizzata a Conte.

Se Di Maio aveva definito “indegno” l’aver tirato fuori il nome della Belloni senza un accordo, Marco Travaglio si è incaricato di contestare il titolare della Farnesina: «Lui ha spinto Draghi per giorni senza un accordo. Un giorno Di Maio dovrà ripensare a questi giorni e chiedersi cosa ci fa ancora nel M5S». Una scomunica in piena regola, quasi una fatwa. La trama da dipanare adesso è quella che lega il Movimento al Pd. Se Conte si dichiara grande amico di Letta e vanta un rapporto confidenziale con Bettini, Di Maio non è da meno: i suoi interlocutori vanno da Franceschini a Zingaretti. Ieri Enrico Letta è parso prudentemente distaccato. Ha cura di non mettere i piedi nel campo minato degli alleati pentastellati. E d’altronde – a sentire Carlo Calenda – quello dell’asse giallorosso è un tema che non si porrà più, nel futuro.

Per l’ormai prossima dissoluzione del Movimento. «Io non è che non mi posso fidare di Conte perché è cattivo ma perché quel movimento è il gas, è un gas che ha inquinato la politica italiana», ha dichiarato il leader di Azione. «I 5 stelle devono scomparire perché hanno preso per i fondelli i cittadini», è la conclusione sempre sopra le righe di Calenda. Quanto alla previsione di porre fine all’agonia pentastellata, però, potrebbe averci visto giusto. Si terrà oggi alle 10.30 dinanzi alla settima sezione civile del Tribunale di Napoli l’udienza sul reclamo presentato da alcuni attivisti storici, difesi dall’avvocato Lorenzo Borrè, contro il rigetto dell’istanza di sospensione del nuovo statuto del Movimento 5 Stelle e della nomina di Giuseppe Conte a presidente del Movimento.

Verrà esaminata la richiesta di annullare le delibere con le quali il 2 e 3 agosto 2021 è stato modificato lo statuto del M5S e il 5-6 agosto è stato nominato alla carica di presidente del partito come candidato unico Giuseppe Conte. E Borrè di cause non ne perde mai una. Se invece Di Maio dovesse decide di uscire, riunendo i suoi parlamentari – si parla di venti nomi che potrebbero arrivare al doppio – in un soggetto esterno, c’è già chi è pronto ad accoglierli nel lievitante centro. Emilio Carelli rivela al Riformista che «siamo pronti ad accogliere il nuovo partito di Di Maio al fianco di Coraggio Italia, nella federazione di centro che stiamo costruendo».

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Ph.D. in Dottrine politiche, ha iniziato a scrivere per il Riformista nel 2003. Scrive di attualità e politica con interviste e inchieste.