Nel mare delle 166 schede per Mattarella annaspa Giuseppe Conte con la sua solita arietta stizzosa. Sul fondo Luigino Di Maio l’aspetta come un pescetto in agguato. Brutto scherzo gli ha fatto nel buio della cabina elettorale di Montecitorio. C’erano molti del codazzo di Di Maio tra i votanti che ieri non hanno rispettato l’ordine di votare scheda bianca e hanno chiesto di nuovo di inchiodare Sergio Matterella al Quirinale sperando di restare così loro stessi inchiodati in Parlamento. Conte aveva chiesto scheda bianca. E i dimaiani ne hanno approfittato per contarsi. I contiani innervositi col capo invece hanno scritto sulla scheda Di Matteo. La fronda di Riccardo Fraccaro e i seguaci di Di Battista sono andati per conto loro.

I fedelissimi dell’ex premier non sanno cosa dire per fingere che le redini del partito le abbia ancora in mano lui.
Il senatore Agostino Santillo, simpatico e casertano, all’ora di pranzo accende un gran fumogeno a protezione del capo: «Conte ha parlato con chi doveva, Conte troverà il nome. Per noi passa solo un superpartes. Vale per tutti noi quel che dice lui». Conte di qua, Conte di là, ma se il quarto scrutinio ha certificato che il centrosinistra da solo possiede, volendo, i voti per il Quirinale, ha celebrato anche una sostanziale rimozione con ruspa di Giuseppe Conte dal ruolo formale di capo grillino. Di Maio fa l’enigmatico ma sprizza entusiasmo da ogni poro. Aspetta immobile a braccia conserte che l’avvocaticchio pugliese affoghi da sé. Ovunque vada lo segue un corteo di grandi elettori amici suoi. Un corteo a corona del vero capo dei Cinque stelle (tutti uguali, tutti lo stesso accento, sembra una classe in gita col comandante in grisaglia). Gli altri grillini non sanno cosa succede.

Alle fantomatiche riunioni con i gruppi, Conte non dice nulla. Perché poco sa: Di Maio tratta da solo. Qualcuno tra i deputati l’ammette. Maria Luisa Faro, per esempio. Pugliese, vicepresidente della commissione Bilancio (sua la meravigliosa uscita in un discorso in Aula su «la Germania che in particolare, avrebbe dovuto crescere del 2,3% nel 2018, secondo le stime iniziali della Bancscbenk»). Racconta lei sbirciando in giro: «Non le saprei davvero dire come voteremo perché non ce l’hanno ancora detto. Non abbiamo deciso, cioè. Anche ieri ci siamo visti ma alla riunione non ci hanno detto niente. Conte ancora non sapeva, cosa stavamo lì a fare? Non aveva niente da dirci. Per questo la riunione è durata poco». Al momento pare che Di Maio non avrebbe problemi a votare nemmeno Casini, figuriamoci Draghi. Interpellato sui possibili candidati Elisabetta Belloni e Sabino Cassese Di Maio paralizza i muscoli del viso: «Lasciateci lavorare e arriviamo all’obiettivo nel minor tempo possibile» Belloni? «Ho lavorato con lei alla Farnesina, si tratta sicuramente di un profilo alto. E’ mia sorella. Però non giochiamo a bruciare nomi e, soprattutto, non spacchiamo la maggioranza di governo».

Le parole rimbalzano e gli altri ripetono. Capannello cinque Stelle in Transatlantico ieri mattina. L’ex ministra Azzolina al nome Belloni si illumina. «Profilo alto. Altissimo. Una donna. Magari». E i voti grillini per Sabino Cassese ci sono? Ci sarebbero, spiega una delle loro voci interne. «Ci sarebbero anche per Belzebù, pur di tirare fino al fine legislatura. Ma la Belloni, anche se viene dai servizi, è più votabile, ha meno veti. Cassese sui magistrati ne ha dette troppe. Cassese per il movimento è migliore della Belloni, ma paradossalmente meno votabile». L’aria è da fine della festa. Mentre è in corso la conta dei voti, tra i banchi ci si scatta foto ricordo. La deputata Elisa Tripodi, eletta ad Aosta, in piedi, spalle alla presidenza – intanto “Mattarella, Mattarella, bianca. bianca, Mattarella, bianca” – cerca di accontentare con l’inquadratura la collega in posa con vestitino a pois. Tristezza.

I grillini che in autonomia si siedono e due conti provano a farli da soli sono presi da una sottile paura. Son convinti che i numeri per fare Draghi presidente della Repubblica ci siano ancora. Il loro timore è che alla fine l’accordo su Draghi, se non lo fa Di Maio, si faccia lo stesso e sopra la loro testa. Che centrodestra e centrosinistra, esplosi, si rappezzino. Riescano a votare, insieme, Draghi al Quirinale. E poi, piano piano, se li mangino. Uno a uno.