Parlamento e partiti
Pd e 5 Stelle contro i voltagabbana, ma sono solo ribelli che contestano il potere del capo
Al più tardi nel 2023 si voterà. E, quindi, Camera e Senato sono costretti a modificare i propri Regolamenti per adattarli all’avvenuto taglio dei parlamentari. La presidente Casellati ha annunciato che il nuovo testo del Regolamento del Senato sarà addirittura pronto già in questo mese di gennaio. Anche alla Camera i lavori per la modifica del Regolamento sono in corso. Sennonché, gli interventi sui Regolamenti non riguardano solo gli aspetti di adattamento tecnico, imposti dalla nuova e più ridotta composizione delle assemblee parlamentari.
Oggetto di intervento è anche, su iniziativa del segretario del P.D. Enrico Letta e con la piena adesione del Movimento 5stelle, un tema squisitamente politico, quale quello del trattamento da riservare a chi lasci il gruppo parlamentare in cui sia stato eletto. In particolare, sarebbe prevista l’introduzione di un impedimento alla iscrizione nel Gruppo Misto, con l’inserimento di una nuova categoria di parlamentari: quella dei non iscritti ad alcun gruppo. Per costoro non sarebbe possibile accedere ai ruoli stabiliti per gli esponenti dei gruppi parlamentari e, inoltre, vi sarebbe la sanzione economica della perdita dei benefici aggiuntivi connessi ad eventuali specifiche funzioni espletate.
Evidentemente, l’intenzione è quella di impedire che, in futuro, possa verificarsi quanto accaduto nella legislatura in corso, la quale ha battuto qualsiasi record precedente circa il numero di parlamentari che hanno cambiato casacca.
Basta dire che gli aderenti al Gruppo Misto sono attualmente, tra Camera e Senato, ben 113. “Si guarda al Misto come se fosse una patologia, ma è solo l’elemento tangibile di una totale mancanza di quelli che erano gli elementi costitutivi della democrazia parlamentare: i partiti”. Questo è stato il commento di Pino Pisicchio, parlamentare di lungo corso con importanti incarichi anche in vari Governi. In effetti, la modifica dei Regolamenti nel senso indicato suscita più di una perplessità. Come noto, i Regolamenti di Camera e Senato trovano il loro fondamento nell’art. 64 della Costituzione. Essi servono, prima ancora che a disciplinare l’iter di formazione delle leggi (come previsto dall’art. 72 cost.), a stabilire le relazioni non solo tra maggioranza e opposizione, ma anche tra Governo e Parlamento. Garantiscono, dunque, che, nei lavori parlamentari, sia rispettato il principio di democraticità. Presupposto fondamentale, perché ciò avvenga, è che i Regolamenti siano rispettosi delle regole contenute nella Carta costituzionale, che appunto fissa le condizioni di svolgimento della democrazia in Italia.
Ebbene, se si tiene conto di tale elementare considerazione, non si può non rilevare che la previsione, nei Regolamenti, di un trattamento punitivo per i parlamentari che lasciano il proprio gruppo di origine, è in palese contrasto con quanto stabilisce l’art. 67 della Costituzione, per il quale “ogni membro del Parlamento rappresenta la Nazione ed esercita le sue funzioni senza vincolo di mandato”. La esplicita affermazione della inesistenza di un vincolo di mandato rende evidente che qualsiasi previsione che, attraverso un atteggiamento punitivo, sia volta a contrastare i cambi di casacca si pone in diretto ed evidente contrasto con la norma costituzionale. Ancora una volta, coloro che dicono di essere pronti a scendere in piazza per impedire qualsiasi modifica della “Costituzione più bella del mondo” sono i primi a violarla. Così in tema di libertà personale, così in tema di investitura democratica dei parlamentari. E l’incongruenza è tanto più evidente ove si tenga conto che, per tentare di tenere a galla il governo Conte-bis, proprio le forze politiche che oggi vogliono combattere i cambi di casacca si resero protagoniste di un tentativo indecente, per le modalità e l’ampiezza, di reclutamento di appartenenti all’opposizione.
Si aggiunga che un trattamento punitivo di chi voglia abbandonare il gruppo di origine mostra tutta la propria inadeguatezza, sul piano sostanziale, di fronte ad un fenomeno, quale quello cui si sta assistendo con riferimento al Movimento 5stelle, di sgretolamento di una forza politica per il venir meno del collante ideale che ne ha determinato la nascita. Ed è proprio la considerazione di quanto sta accadendo rispetto al Movimento 5stelle che rende evidente che, ancora una volta, si cerca di incidere sugli effetti senza cercare di intervenire sulle cause. La illegittimità dell’iniziativa di modifica dei Regolamenti parlamentari sul tema qui considerato, difatti, non significa che l’elevatissimo numero di parlamentari aderenti, nella attuale legislatura, al Gruppo Misto non sia manifestazione di un malessere profondo. Riferibile, tuttavia, non alle istituzioni, e in particolare, per quello che qui interessa, alle Camere, bensì ai partiti che le abitano. Il sistema, che si è ormai da tempo cristallizzato, registra, nella vita dei partiti, una serie di anomalie in palese contrasto con i principi di democraticità. L’art. 49 della Costituzione prevede che i partiti debbano adottare, al proprio interno, il metodo democratico.
L’evoluzione è stata, negli ultimi decenni, in una direzione completamente opposta. Si è assistito ad una concentrazione di potere sempre più marcata nelle mani dei leader, aiutati da un sistema elettorale che conferisce loro un significativo potere di “nomina”. Tale concentrazione di potere ha drasticamente ridotto la dialettica interna dei partiti, limitando il ruolo dei parlamentari a semplici pedine, che il Capo ha il potere di muovere a suo piacimento. In questa chiave di lettura, il cambio di casacca appare meritevole di essere colpito non tanto perché espressione di un tradimento del mandato elettorale, quanto perché illegittima sottrazione ai poteri del capo partito. La questione reale, dunque, non è affatto quella di limitare, sia pure in modo indiretto, l’autonomia e l’indipendenza dei singoli parlamentari, così violando la Costituzione che invece la vuole piena, nel momento in cui afferma che ciascuno di essi rappresenta l’intera Nazione e che non è soggetto ad un vincolo di mandato. Occorre, viceversa, affrontare il tema fondamentale di quale via intraprendere per restituire ai partiti il ruolo di elaboratori di progetti per il futuro intorno a scale di valori. Che attinenza ha, oggi, con la salvaguardia dei valori democratici, punire chi intenda, lasciando il proprio gruppo parlamentare di origine, sottrarsi ad una mera struttura di potere?
Occorre aggiungere, per completezza, che per restituire dignità democratica ai parlamentari occorre non solo che si intervenga sul sistema elettorale in modo che attraverso di esso si influisca sul ruolo dei partiti, ma occorre anche che muti il rapporto tra Governo e Parlamento. L’abuso della decretazione di urgenza e del ricorso al voto di fiducia hanno anch’essi contribuito a rendere i parlamentari dei peones senza un ruolo preciso, con la conseguenza che l’appartenenza ad un gruppo o ad un altro ha perso gran parte di quel contenuto valoriale, la cui esistenza è richiesta da un sano sistema democratico.
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