Si conclude una settimana orribile per il Movimento. Risse, veleni, scomuniche e divorzi intorno a Giuseppe Conte. Beppe Grillo, collegato in videoconferenza con i gruppi, lo ha subito preso in giro. Prima di ricevere, ieri pomeriggio, il siluro in casa del rinvio a giudizio del figlio Ciro. Vincenzo Spadafora, ancora arrabbiato per l’improvvida decisione dell’Aventino sulla Rai, protesta su tutta la linea. Di Maio tace. Persino il Corriere della Sera boccia senza riserve la guida dell’ex premier: «Che la leadership di Conte sia più debole di quanto si pensasse è evidente», stiletta Massimo Franco. Anche nell’orizzonte dell’impero di Cairo sta tramontando l’astro contiano.

Proprio come Rocco Casalino, che prima chiama e poi si pente di aver telefonato, Giuseppe Conte prima si lancia in avanti e poi fa dietrofront. Il nuovo set di questo film già visto è il traguardo del 2 per mille. Il leader 5S prima lo invoca e poi ci ripensa, tentenna, rimanda. Accedere al beneficio previsto per le forze politiche non sarebbe solo una formalità: l’iscrizione nel registro dei partiti politici allinea sotto tutti i punti di vista – come è già nella realtà fattuale – il Movimento Cinque Stelle con tutti gli altri soggetti beneficiari: certificherebbe che è un partito tra i partiti. E cancellerebbe anni di retorica della diversità, con il “Movimento” che, per usare i codici di Grillo, è nato con il Vaffa e finisce con l’Arraffa. Conte si voleva iscrivere d’ufficio tra i percettori del due per mille, avendo trovato le casse vuote ed un budget tutto da rifare, dopo la dipartita di un quarto dei parlamentari verso altri lidi. Il loro mancato versamento pesa.

Ma anche stavolta, come sempre, all’avvocato del popolo sono piovuti addosso i ricorsi dei parlamentari, suoi rappresentati sempre più controvoglia. E inizia dal Senato il fuoco di fila dei contrari. «Non sono d’accordo e l’ho detto anche l’altra sera in assemblea congiunta», fa sapere il presidente della commissione Bilancio di Palazzo Madama. La motivazione del dissenso è chiara: «Non mi sembra opportuno utilizzare soldi pubblici in più di quelli che già utilizziamo». I mal di pancia crescono e Conte corre ai ripari. Preparando una segreteria collegiale, una vasta compagine che includa un po’ di tutto per aree, simpatie, provenienza. E predisponendo un voto online per prendere la decisione contestata di accedere al 2 per mille. Già ad inizio settimana, tra lunedì e martedì, gli iscritti saranno chiamati a decidere se il M5S dovrà iscriversi o meno nel registro dei partiti e allinearsi agli altri: come spiegato dal tesoriere Claudio Cominardi nell’ultima assemblea congiunta, martedì 30 novembre scadranno i termini per presentare l’iscrizione e quindi il nodo andrà sciolto per forza di cose entro quel giorno. Ma i riflettori resteranno accesi anche sulle nuove figure che comporranno la ‘segreteria’ di Conte.

La base pentastellata dovrà infatti ratificare i cinque vicepresidenti già indicati dal leader M5S (Paola Taverna, Mario Turco, Riccardo Ricciardi, Michele Gubitosa e Alessandra Todde) e votare i responsabili dei vari comitati tematici. Nella lista dovrebbero quasi certamente comparire i nomi dell’ex ministro della Giustizia Alfonso Bonafede e dell’ex sindaca di Torino Chiara Appendino (che dovrebbe occuparsi di formazione o progetti). Tra gli altri referenti, il senatore Gianni Girotto (transizione ecologica), l’europarlamentare Fabio Massimo Castaldo (esteri), la senatrice Alessandra Maiorino (politiche di genere), il deputato Luca Carabetta (transizione digitale), l’ex ministra Nunzia Catalfo (lavoro) e l’ex viceministro dello Sviluppo economico Buffagni (economia). «Sarà una segreteria inclusiva», assicurano fonti pentastellate, ponendo l’accento sulla “volontà” del leader di «coinvolgere più persone possibili». Una scelta ecumenica che sortirà l’unico effetto di annacquare l’organismo, rendendolo inconsistente.

D’altronde sono trascorse con oggi due settimane dall’annuncio dei cinque vice presidenti dell’era Conte e «ancora non è stata ratificata la loro nomina», ci fa notare un autorevole deputato grillino. Nelle more delle consultazioni febbrili tra le correnti si starebbe parlando del seggio per le suppletive del collegio Roma Centro. Ieri la Camera ha stabilito che si dovrà votare il 16 gennaio. Potrebbe far gola allo stesso Giuseppe Conte, unico leader di partito extraparlamentare. Ma c’è sul piatto anche la candidatura di Virginia Raggi, che i voti sul territorio li avrebbe. E potrebbe farsi avanti, in alternativa alla Raggi, Alessandro Di Battista. Il suo ritorno in Parlamento, atteso dalla base e da un buon terzo dei parlamentari pentastellati, potrebbe essere per Conte l’inizio della fine.

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Ph.D. in Dottrine politiche, ha iniziato a scrivere per il Riformista nel 2003. Scrive di attualità e politica con interviste e inchieste.