Sulla Rai di Salini, Foa, Salvini e Casalino è calato ieri il sipario. Con nomine che riconoscono a Fuortes e alla Soldi il merito di aver messo la parola fine alla stagione populistico-sovranista dettata a viale Mazzini dal Conte I. Draghi c’è e ha battuto il colpo con nomine che confermano le nostre indiscrezioni della vigilia: l’ex presidente Rai Monica Maggioni va a dirigere il Tg1, subentrando a Giuseppe Carboni; al Tg2 resta saldo al suo posto Gennaro Sangiuliano, così come Alessandro Casarin alla direzione della TgR; Simona Sala va al Tg3 al posto di Mario Orfeo, dirottato dai vertici aziendali alla direzione del genere Approfondimenti giornalistici; per quanto riguarda lo Sport viene promossa Alessandra De Stefano, attuale vicedirettrice che prende la poltrona di Auro Bulbarelli, mentre a Rainews arriva Paolo Petrecca, attualmente vicedirettore in “quota” Fratelli d’Italia. L’attuale direttore di Rainews24, Andrea Vianello, trasloca al Gr Radio e Radio Uno al posto di Simona Sala.

Bulbarelli, vicino alla Lega, e Carboni, in “quota M5S” al Tg1, restano al momento senza incarico. Ed è proprio sulla mancata difesa di quest’ultimo, con la decisione di sostituire Carboni senza offrirgli subito una alternativa che il Movimento Cinque Stelle ha alzato i toni. Hanno capito a cose fatte di essere rimasti a terra. Per capirci: se Rocco Casalino deve telefonare a qualcuno e dare le sue direttive in Rai, chi chiama, adesso? Nessuno, a ben vedere.
Finisce così per sempre la stagione delle veline impartite, dei titoli telefonati e dei filmati promozionali imposti (quella sequenza di Conte che incede trionfale al centro del corridoio di Palazzo Chigi, rimandata due volte al giorno per due anni di fila). Il Minculpop del duo Conte-Casalino è il grande sconfitto di questa tornata di nomine. La giostra del potere con cui da Palazzo Chigi il portavoce di Conte richiamava all’ordine direttori di testate, conduttori, autori dei programmi lascia il posto alla Rai della stagione Draghi.

Il metodo del merito, al netto degli immancabili pesi e contrappesi, fornisce alla governance del servizio pubblico televisivo la forza necessaria a rispondere con professionalità e autorevolezza alle richieste dei partiti. La guida di Rainews va a un nome vicino alla principale forza di opposizione, ed è un segnale di garanzia. Orfeo alla direzione degli Approfondimenti riconduce nell’area del centrosinistra di governo la più strategica delle nuove linee, per la quale si era addirittura paventato il nome di Sigfrido Ranucci. Le aree strategiche sono al riparo. Non così gli equilibri del principale partito dell’attuale Parlamento, che dalla vicenda Rai esce con le ossa rotte. Si vocifera che Giuseppe Conte alla sera della vigilia abbia iniziato a fare telefonate che ricordano, per molti versi, quegli appelli disperati ai Responsabili, nelle ultime ore della crisi. Avrebbe chiesto perfino a Lucia Annunziata, secondo indiscrezioni, di accettare la guida del Tg1 a tutela del Movimento, ricevendone un sonoro diniego. Ridotti al silenzio, i Cinque Stelle capiscono che quello che è andato in onda in Rai è davvero, per loro, un finale di stagione.

Rimangono da assegnare almeno due super direzioni: quella del Prime Time e quella del Day Time. Casalino proverà a forzare su un suo uomo, ma lo strappo è forte. Giuseppe Conte accusa il colpo. Indice una conferenza stampa a Montecitorio e sale sulle barricate: «Siamo contro la lottizzazione ma qui viene esautorato il Movimento e solo il M5S». Sembra voler aggiungere: «Non è giusto». E batte i pugni sul tavolo. «Nessun esponente M5S andrà più nei canali del servizio pubblico», annuncia senza tema di imbarazzo. Torna a calcare quei toni che erano propri del Grillo delle origini, ma lo fa dopo aver occupato militarmente la Rai per tre anni, dopo aver parlato a reti unificate, obbligando i tre canali Rai a prendere il segnale del suo account Facebook privato, dal quale trasmetteva con la regìa di Casalino. Roba che mai né TrumpKim Jong-il avevano mai provato a fare, nemmeno nei momenti di maggior estro. «L’amministratore delegato della Rai Fuortes poteva scegliere come affrontare le nomine. Ha scelto di sottrarsi a qualsiasi confronto nelle sedi istituzionali, ha rinviato dapprima l’incontro richiesto nei giorni scorsi dal Cda e poi ha anche rinviato la convocazione già programmata davanti alla commissione di Vigilanza».

Non ricorda, l’avvocato del popolo, che Di Maio ha convocato e ricevuto alla Farnesina quel Fuortes che adesso Conte mette nel mirino. Ha capito, reagendo nove ore dopo le nomine, proprio quando è stato messo al muro dallo stesso Luigi Di Maio che, sentito Vincenzo Spadafora, gli ha fatto sapere che di questa clamorosa sconfitta l’ex premier dovrà rendere conto al Movimento. Il redde rationem si apre e uno dopo l’altro i deputati si affidano all’ala protettrice del ministro degli Esteri. Se i grillini voltano le spalle alla Rai, La7 è pronta ad accoglierli. Dopo Ottoemezzo, una puntata di DiMartedì quasi interamente monografica su Matteo Renzi è andata in onda l’altroieri: quella character assassination che si continua ad attribuire equivocamente alla mail di Fabrizio Rondolino, rimasta lettera morta, è messa in pratica ogni sera dalla rete di Urbano Cairo. E in una giornata tanto nervosa in casa grillina si segnala un gesto di appeasement di Berlusconi, che guarda con ogni probabilità al Colle. «Conte ha quasi il mio stile», gli dice. Forse non facendogli un favore.

Nella mattinata, una partecipata conferenza stampa nella sede dell’associazione The Good Lobby aveva sottolineato alcune gravi incongruenze nella vicenda politica dei Cinque Stelle: il conflitto di interessi, la regolamentazione delle lobby e la mancata attuazione della direttiva europea sul whistleblowing sono tre vulnus nella legislazione italiana ascrivibili al Movimento. Ne avevano fatto delle battaglie di bandiera, buone – come sempre fanno i populisti – per lanciare gli annunci, salvo poi dimenticarle appena eletti. I grillini hanno dimenticato tutte le loro battaglie sulla trasparenza e deciso di non decidere per l’intera durata dei loro due governi. E l’Italia rischia di finire sanzionata da parte dell’Unione Europea qualora non rispettasse i termini previsti per la trasposizione, tanto che adesso le speranze dei promotori della trasposizione italiana della legge sul whistleblowing. Non troppo diversamente, dopo tre anni alla guida di due diversi governi, oggi lamentano la spartizione della Rai tra i partiti, senza mai essere intervenuti per cambiarne il quadro. Anzi, sfruttando fino all’inverosimile le pieghe dello spoil system.

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Ph.D. in Dottrine politiche, ha iniziato a scrivere per il Riformista nel 2003. Scrive di attualità e politica con interviste e inchieste.