La linea del fronte è sulla manovra in esame a Palazzo Madama. È lì che i nodi sono venuti al pettine: il senatore di Leu Vasco Errani, già individuato come relatore per il centrosinistra, è saltato. E il pettine si nasconde nel taschino con la pochette: sarebbe stato – apprende Il Riformista – proprio Giuseppe Conte a dare indicazione ai suoi di voltare le spalle agli accordi con il Pd e Leu. La vicenda Rai brucia e l’ex premier, nel suo momento di massimo affanno, ha fatto saltare i ponti piuttosto che cercare una soluzione: un atteggiamento eloquente e rivelatorio.

Adesso si guarda alla settimana prossima, mentre il telefono di Conte è tornato incandescente: Nicola Zingaretti, l’amico di sempre, e Goffredo Bettini, l’interlocutore più stimato, lo hanno entrambi ricondotto a miti consigli. Per prassi, davanti all’esigenza di discutere della manovra, con gli otto miliardi che Draghi ha lasciato assegnare dalle forze politiche della maggioranza, si individuano due relatori: uno per il centrodestra e uno per il centrosinistra. Il M5S che sul nome di Errani aveva inizialmente concordato, da due giorni si muove come tarantolato. Il veleno sembra quello della Rai, l’antidoto non si trova. E così il presidente della Commissione Bilancio del Senato, Daniele Pesco, del Movimento, aggiorna i lavori alla settimana prossima. Da Conte sarebbero arrivate indicazioni chiare: deve esserci un relatore terzo, del Movimento. Magari in grado di portare in rete certe istanze: la ben nota manina.

La tensione tra Pd e M5S rimane palpabile e l’iter dell’approvazione degli emendamenti alla manovra si fa complicato. Mercoledì prossimo la legge di bilancio sarà incardinata finalmente in Commissione e solo allora si dovrà porre, stavolta ultimativamente, la questione del relatore. Che è diventata una cartina al Tornasole della coalizione giallorossa. Errani avrebbe l’esperienza istituzionale e la competenza necessarie per saper fare la sintesi a vantaggio di tutti, ma il M5S sembra non fidarsi più di nessuno. Vede trappole ovunque: tra i suoi collaboratori, tra gli alleati di coalizione. E tra i giornalisti. Quando Conte va in tv, negli studi amichevoli di Corrado Formigli, non riesce a rispondere alla domanda più semplice: «Lei è di centrosinistra?», gli viene chiesto. Imbronciato, si lancia in un panegirico che termina ecumenico: «Io sto con gli ultimi». Anche in senso temporale, se vuole calare la carta del relatore solo all’ultimo minuto.

Risponde a Conte il senatore Marco Pellegrini, vicepresidente gruppo M5S a Palazzo Madama. «Nessuno ha mai garantito che l’incarico di relatore sarebbe stato assegnato a Vasco Errani, pur nel rispetto e nella considerazione per la persona». Il presidente M5S della Commissione bilancio, Daniele Pesco, ha avanzato agli altri gruppi una proposta di nomina di tre relatori: uno per il M5S, uno per le forze di centrodestra e uno per quelle di centrosinistra. Proposta che non è stata accolta. A questo punto lo stesso presidente della commissione Bilancio può esercitare tutte le prerogative che gli competono nell’individuare il relatore della legge di Bilancio, prerogative che vengono normalmente esercitate dai presidenti di commissione del Pd e delle altre forze politiche. L’interessato, Vasco Errani, si confida con Il Riformista: «Su di me non c’è un problema di mancato accordo. Personalmente non ho problemi con nessuno. Si tratta di attendere che vengano assunte decisioni». Gli chiediamo se si tratti di un problema di leadership debole di Conte. «Leadership debole? (Ci pensa su) Non entro nelle questioni della gestione di altri partiti», finisce per dire.

Ma sta di fatto che il suo nome era sul tavolo, e oggi non c’è più. «Il centrosinistra deve dare un segnale importante, come importante è questa manovra. Sarebbe sempre meglio dare dei segnali unitari», ammicca infine Errani. Nel Movimento non sono unitari i segnali che seguono ad una intervista-bomba di Spadafora a Repubblica dal senso inequivocabile: «Troppi errori, Conte è un leader debole che silenzia il dissenso». Una bomba che scuote tutti, come ci conferma, tornandoci su, lo stesso Spadafora: «nel gruppo alla Camera direi che i contenuti sono molto condivisi». Ecco: se nel M5S le due correnti campane, quella Fico-Spadafora e quella di Luigi Di Maio si mettono insieme, a Conte non rimane che fare le valigie. E Spadafora non esclude che l’ex premier assuma questa decisione già all’indomani del voto per il Colle. Per fare una sua “mossa del cavallo”, due passi di lato uscendo da quella che si rivela essere sempre più una cage aux fous per dare vita a un soggetto nuovo, un’area contigua ma autonoma del futuro centrosinistra.

I parlamentari pentastellati pronti a seguirlo sono un terzo, Ettore Licheri potrebbe essere il Caronte che ne coordinerebbe l’esodo. Proiezioni, perché al momento nel M5S parlano in pochi. Parla invece con noi l’ex moglie di Giuseppe Conte, Valentina Fico, che ne difende gli sforzi e trova, nella vicenda dell’unico leader di partito non parlamentare, un valore: «I Cinque Stelle volevano dimostrare che chiunque può assurgere dal nulla alla cosa pubblica», «(Conte, ndr) si è dedicato per anni a un mestiere diverso, bello che possa decidere di intraprendere una nuova strada». E più che una strada, è una traversata quella che lo aspetta. Come quella della manovra, che Conte fatica a gestire essendo stato sempre al di fuori del Parlamento. Il Pd ha fiutato l’aria di crisi nella casa accanto: l’incendio è agli inizi ma i più vicini sentono già odore di fumo. Che la navigazione non fosse una passeggiata, Enrico Letta lo aveva detto chiaramente quando ha lanciato la proposta di “tavolo di maggioranza” nei giorni scorsi. «Non do pagelle a nessuno – chiosa Luigi Zanda, ex capogruppo del Pd al Senato, un aristocratico della politica – ma è evidente che se da ora a fine gennaio si dovessero ripetere fatti negativi come quelli accaduti nell’ultimo periodo al Senato, vorrebbe dire che dopo le elezioni del nuovo presidente della Repubblica, si romperebbe tutto e andremmo di corsa alle elezioni con conseguenze sull’economia e sulla nostra reputazione internazionale».

E dato che le magnifiche sorti e progressive sono state affidate agli umori del Movimento, a Zanda torna a rispondere il senatore grillino Pellegrini: «Faccio notare che le dichiarazioni di Zanda, e simili, vanno contro ogni spirito di conciliazione e sono a maggior ragione intempestive se si considera che a voler rompere gli equilibri non è certo il M5S, ma i partiti che ieri hanno votato emendamenti al Dl Capienze facendo andare sotto il governo. Il M5S non ha intenzione di prestare il fianco a risibili insinuazioni ma di esercitare appieno il suo ruolo di prima forza politica».
Forse, è la voce che corre nei gruppi dem a Camera e Senato, di questi alleati ci si è fidati un po’ troppo.

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Ph.D. in Dottrine politiche, ha iniziato a scrivere per il Riformista nel 2003. Scrive di attualità e politica con interviste e inchieste.