Il retroscena
La strategia di Letta: dentro Bersani, fuori gli ex renziani
Il Nazareno ufficialmente non partecipa al tentativo di chiudere Italia viva e Matteo Renzi in una tonnara. Ma a volte certe non-azioni pesano più delle azioni. Solo tre voci si sono alzate in difesa – Andrea Marcucci, Emanuele Fiano e la vicepresidente Tinagli – non solo dell’ex segretario che comunque appartiene alla famiglia del centrosinistra ma dello stato di diritto perché la storia insegna che oggi tocca a me e domani a te di vedersi spiattellati conti correnti e vita privata nell’informativa di polizia giudiziaria di un processo che deve ancora cominciare. Lo fecero con Berlusconi e il fatto risultò, dopo anni di sputtanatura in aula e sui giornali, “non costituire reato”. Lo stanno facendo adesso con Matteo Renzi ipotizzando un gigantesco finanziamento illecito ad opera della Fondazione Open. Il segretario Enrico Letta tace. Al massimo brinda sui social con una foto con il ponche “sassolino”. Solo una coincidenza, Renzi può stare sereno, ha spiegato il segretario.
In realtà il Nazareno è in piena azione. Fa uscire indiscrezioni che vogliono spingere “Renzi a destra” e raccontano dei parlamentari di Italia viva in piena agitazione per questa prospettiva. L’obiettivo in questo caso è togliere a Renzi la golden share dell’elezione del Capo dello Stato, i suoi preziosissimi 43 parlamentari che nonostante le pressioni restano però saldamente dove sono. E, sempre il Nazareno, si sta muovendo in due direzioni precise: il ritorno a casa, nella Ditta, di Leu e dei bersaniani che fecero quella scissione; l’epurazione totale dei renziani dagli organigrammi locali del partito via via che vanno in scadenza e dalle liste (in vista del 2023 o forse anche prima). «La situazione è un po’ questa – ammette un deputato Pd – Letta ha realizzato che il Pd deve tornare ad essere percepito con un partito di sinistra. Questo non significa che rinuncia al centro. Diciamo però che lo stesso segretario sente bastarsi come garanzia per il centro. Dove al massimo poi ci sarà la convivenza con la gamba di Conte o di Di Maio». Renzi e Calenda facciano pure i liberali, a noi non ci servono.
Il ritorno del figliol prodigo, cioè Leu, alla casa del Padre, era già stato pianificato nella stagione di Zingaretti.
L’allora segretario del Pd dovette agire con maggiore cautela soltanto perché all’epoca i renziani dentro il partito erano ancora troppo forti e combattivi ma quando il Presidente della Regione Lazio dovette convincere Speranza a scegliere come sistema elettorale il proporzionale alla tedesca, gli esponenti di Articolo Uno, non ebbero paura dello sbarramento al 5%. Sapevano già allora (all’inizio del Conte due) che le elezioni le avrebbero affrontate al sicuro come candidati del Pd. Un rapporto che si è rafforzato in questi mesi: i ministri del Pd hanno sempre sostenuto le posizioni rigide del ministro Speranza, anche quelle più controverse come furono la distanza della mobilità tra Comuni, e la chiusura delle piste da sci. Ora con Letta saldo al Nazareno il ritorno dei bersaniani è cosa fatta: i rapporti con Renzi sono ai minimi termini; la corrente di Base Riformista nei fatti svuotata grazie a promesse, cambi di casacca e di idee. Sono le condizioni ideali per celebrare il secondo matrimonio dopo il divorzio. E comunque basta leggere le parole del ministro del Lavoro Andrea Orlando: «La stagione che ci portò alla bruciante sconfitta del 2018 si è esaurita. Ne consegue che anche la rottura con Bersani non ha più ragione di esistere».
Lo strumento partorito da Letta per favorire l’intesa sono le famose Agorà, alle quali infatti si sono iscritti Roberto Speranza e Massimo D’Alema. Saranno le Agorà a celebrare le nozze: subito dopo il Quirinale, i militanti voteranno in massa per annullare i motivi che portarono alla scissione di Articolo Uno. A liste ed organigrammi sta provvedendo Marco Meloni, fedelissimo sempre e comunque a Letta e subito nominato coordinatore della segretaria. L’ex deputato sardo si è già conquistato l’appellativo di nuovo Epurator della politica italiana. La sua mission è chiara: portare a consunzione gli elementi renziani rimasti nel Pd. Un capolavoro che si completa proprio a casa del nemico, a Firenze, dove tre esponenti di primo piano del renzismo (l’eurodeputata Bonafè, il governatore Giani e il sindaco Nardella) hanno benedetto la candidatura di Monica Marini (Leu) per la segreteria provinciale dem. Marini è sindaca del piccolo comune di Pontassieve. Meloni ha chiesto espressamente di trovare a tutti i costi un accordo che tagliasse fuori dai giochi proprio Luca Lotti, ex potentissimo del Giglio magico e in Toscana. Tra le medaglie che Meloni vanta c’è quella di aver reclutato totalmente alla causa Letta la capogruppo al Senato Simona Malpezzi, già diventata filocontiana quando fu nominata sottosegretario nel Conte 2.
Il prossimo obiettivo del capo segreteria è derenzizzare le liste elettorali dem. Un lavoro che si presenta abbastanza facile, complice la riforma che ha ridotto il numero di parlamentari eleggibili. La mannaia sarà per definizione impietosa. E la lista dei decapitati si allunga ogni giorno un po’ di più. Resta “solo” da capire se Letta cerca il voto subito “per capitalizzare il successo delle amministrative”, come suggerisce di fare Bettini e il suo gruppo di spin doctor. O se invece, come il segretario ripete in pubblico, bisogna far terminare la legislatura guidata da Mario Draghi.
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