La motivazione ufficiale per la mancata indicazione dei dati previsionali è legata alle modifiche in corso alle regole europee sulla governance economica che prevedono, entro il 20 Settembre, l’approvazione di piani fiscali strutturali con orizzonti temporali da pianificazione sovietica anni Ottanta.
Se, da un lato, i numeri presentati a consuntivo sul rapporto debito-PIL, sul deficit e sulla crescita restituiscono l’urgenza di scelte immediate, decise e probabilmente impopolari, dall’altro, i clamorosi errori di stima dell’impatto dei bonus edilizi sulle finanze pubbliche chiariscono lo stato di completo sbandamento di una burocrazia pubblica da troppo tempo abituata a torturare i numeri pur di fargli dire ciò che il Governo di turno ha necessità che gli elettori sentano.
Prevedere il futuro economico non è certo operazione semplice e chi lavora seriamente con i dati spera soltanto di ridurre al minimo gli errori. L’innovazione tecnologica e la moltiplicazione esponenziale della capacità di calcolo, gli studi empirici sul passato, gli avanzamenti teorici sui modelli di comportamento hanno certamente dotato i moderni aruspici di strumenti e tecniche ben più sofisticate dell’ispezione delle interiora di un animale. Ma i risultati delle previsioni continueranno ad essere diverse in base alle premesse teoriche e alle assunzioni di fondo che, alla fine, sono comunque impostate da esseri fallibili e influenzabili come gli individui.

Le burocrazie pubbliche troppo spesso tendono a considerare i dati necessari per gli studi e le previsioni come proprietà personale e li custodiscono gelosamente, utilizzandoli in maniera poco trasparente senza illustrare nel dettaglio i metodi e i modi utilizzati per arrivare a quelle stime ufficiali che hanno un impatto importante sulle scelte dei cittadini.
Sarebbe molto interessante capire come sia possibile sbagliare una stima sulla spesa pubblica di oltre 100 miliardi come nel caso dei bonus edilizi e discutere di quali siano state gli errori di impostazione che hanno portato a quello che sembra essere uno dei più grandi disastri macroeconomici della storia della repubblica. L’Italia è un paese con scarsissima cultura dei dati che non sono disponibili in maniera tale da consentirne un utilizzo diffuso da parte di enti di ricerca e organismi indipendenti in grado di fare le pulci ai dati ufficiali del governo, consentendo così un esercizio di libertà fondamentale per una società moderna. Con la scusa della protezione della privacy e del rispetto delle informazioni personali, in barba al Freedom of Information Act approvato qualche anno fa e pressoché inutilizzato, i dati che potrebbero consentirci di capire cosa è successo nel passato per prevedere meglio il futuro, da quelli sanitari a quelli sui consumi energetici delle famiglie, sono gelosamente tenuti in cassaforte da enti e istituzioni pubbliche che li utilizzano poco e male. È comprensibile.

I dati economici contribuiscono a migliorare o peggiorare la reputazione dei governi e quindi, in ultima analisi, a cambiare la percezione degli elettori e determinare l’esito delle elezioni. E così capita spesso che i governi, soprattutto quelli di paesi non democratici, si muovano per influenzare i dati ufficiali o impongano la pubblicazione di dati distorti. Qualche anno fa l’Economist aveva deciso di non pubblicare più i dati ufficiali dell’istituto statistico argentino ritenendoli non attendibili, anche sulla base delle confessioni segrete di qualche funzionario con scrupoli di coscienza. La Banca Mondiale ha dovuto sospendere la pubblicazione della classifica dei paesi dove è più semplice fare business per trattamenti preferenziali nei confronti della Cina, sulla cui crescita effettiva del PIL si esercitano ormai anche astrologi e maghi. In Italia solo l’Ufficio Parlamentare di Bilancio, l’organismo indipendente che analizza e verifica e previsioni macroeconomiche di finanza pubblica del Governo, esercita con serietà e attenzione il ruolo di watchdog dei conti pubblici abbaiando però troppo spesso alla luna.

Il DEF senza previsioni è solo l’ultimo passo di una sempre più veloce chiusura di qualsiasi spazio di controllo aperto e competitivo alle azioni di un soggetto pubblico incapace di confrontarsi sul terreno aspro e feroce del dibattito sostenuto da dati e da studi empirici. Non solo non siamo in grado di sapere su cosa si basano le stime degli impatti delle politiche che un Governo vuole intraprendere nel futuro ma ci viene negata anche la possibilità di conoscere quali siano quelle politiche e quali gli effetti attesi. Mettere a disposizione i dati posseduti dalle pubbliche amministrazioni, rendere pubblici modelli e metodologie di stima delle previsioni economiche, potenziare la raccolta di dati consentendo a ciascun individuo di utilizzarli senza alcun filtro per le analisi che ritiene più opportune. Sono tutte azioni che aumentano la libertà degli individui e della società e riducono gli spazi di potere del soggetto pubblico che è costretto a rendere conto delle proprie azioni e dei prevedibili effetti futuri in qualsiasi momento. Diceva lo statistico Deming che possiamo credere solo in Dio, tutti gli altri devono portare i dati. Soprattutto i governi.

Carlo Amenta

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