“In bianco” o “al buio” la sostanza non cambia. Il Documento di economia e finanza approvato ieri mattina dal Consiglio dei ministri è un testo che è più giusto definire “monco” anziché “asciutto” o “leggero” come anticipato dal ministro economico Giancarlo Giorgetti. Manca totalmente la parte programmatica della spesa, delle coperture e degli investimenti per l’anno 2025. Manca il progetto. Ci sono solo i tendenziali. Racchiusi in qualche numero: nell’anno in corso la crescita è prevista pari all’un per cento, il deficit a 4,3% e il debito a 137,8%. Sono numeri discreti anche se la previsione sul Pil è circa il doppio di quella prevista da organismi tecnici e terzi, da Banca d’Italia a Fondo monetario. Il deficit è circa tre punti più basso del 2023, annus horribilis per via del Superbonus al 110% che lo ha spinto tra l’8-8,5%.

Def monco, l’economia italiana sembra ferma

Più o meno in linea ma sempre molto, troppo alto il nostro debito che a giugno sfonderà il tetto dei 2.900 miliardi, in costante crescita da gennaio 2024. Il problema è che, sempre in base ai tendenziali, la nostra economia sembra ferma: nel 2025 il pil è stimato all’1,2%, nel 2026, anno conclusivo del Pnrr, a 1,1 e l’anno dopo, quando dovremmo raccogliere i risultati del Piano di investimenti addirittura si ferma allo 0,9%. Il debito resta più o meno stazionario, anzi risale sfiorando quota 140 mentre il deficit decresce fino al 2,2 nel 2027. È questa, in base ai numeri che il governo ha condiviso, l’unica nota positiva. L’unica leva che consentirà di chiedere a Bruxelles un po’ di flessibilità in autunno quando andremo a battere cassa.

I numeri ‘brutti’ e la campagna elettorale

Palazzo Chigi e Mef decidono quindi, come anticipato nei giorni scorsi, di non dire cosa faranno nei prossimi mesi e anni. “I numeri sono brutti e non si danno in campagna elettorale” è il coro che si solleva dalle opposizioni. Il Def senza parte programmatica è da “governo dimissionario” dice il capogruppo Pd Francesco Boccia. “Il governo ha approvato un testo finto e inutile. Meloni e Giorgetti non sanno che pesci pigliare e tengono nascoste le loro carte per tentare di scavallare indenni le elezioni europee” attacca Misiani, responsabile economia del Pd. “Non dire nulla sulla politica di bilancio dei prossimi tre anni significa che stanno venendo al pettine i nodi evidenziati nell’ultima legge di bilancio: la crescita è stata sovrastimata, non c’è nessuna vera strategia di rilancio dell’economia, il grosso delle misure finanziate solo per il 2024. Servono almeno 20 miliardi, il governo non sa dove trovarli e decide di rinviare invece di dire la verità. Tagli o nuove tasse, quale sarà la ricetta.

La fase transitoria secondo il Governo

Il governo in realtà motiva il Def monco per due fattori ripetuti ieri a fine mattina in una conferenza stampa dal ministro Giorgetti e dal viceministro Leo: “Siamo in una fase transitoria, di regole cambiate ma ancora non certe, con scadenze anche diverse. Tanto vale quindi aspettare”. Tutta colpa del nuovo Patto di stabilità, le regole di bilancio per in singoli 27 stati membri. E del fatto che la Commissione è in uscita (tra novembre e dicembre) e non è chiaro se saranno i vecchi o i nuovi commissari a dire la parola definitiva su un aspetto, soprattutto: i paesi indebitati, l’Italia è seconda solo alla Grecia, dovranno spalmare il rientro dal proprio debito in quattro o in sette anni?
Giorgetti e Leo hanno garantito, a turno e insieme, che “nella legge di bilancio 2025 saranno rispettati tutti gli obiettivi promessi e le misure in vigore quest’anno: taglio del cuneo, riduzione aliquote Irpef, decontribuzione per le aziende che assumono, bonus famiglie e mamme.

Il debito Superbonus

“Confermiamo le misure, avremo le risorse” hanno tagliato corto. “Difficile però che troveremo le risorse aggiuntive per alleggerire le tasse sul ceto medio” ha messo le mani avanti il viceministro, meloniano doc. Anche la premier lo ha fatto la scorsa settimana: “Non so se riusciremo a confermare il taglio del cuneo fiscale”. E di chi è la colpa? Del Superbonus edilizio del 110% stimato a 220 miliardi e che “ci pesa sul debito per trenta miliardi ogni anno”. Sarà un’estate complicata per il quadro di finanza pubblica. Con molte scadenze di fuoco. E il governo non potrà più fare lo struzzo. A giugno, chiusa la campagna elettorale, Bruxelles dovrà comunicare anche all’Italia, e non solo a noi, la procedura d’infrazione per eccesso di debito. “Non ci sarà bisogno di manovra correttiva” assicura il ministro. Il 20 settembre è obbligatorio, in base alle nuove regole, consegnare a Bruxelles, alla commissione uscente, il “Nuovo piano fiscale strutturale di medio termine” dove dovranno essere indicati numeri, progetti e soprattutto strategie: si taglia il cuneo fiscale con questi soldi; si mettono soldi sulla sanità con questi altri soldi. Sarà il Documento che nei fatti introduce alla legge di bilancio che sarà presentata entro il 10 ottobre. Da giugno in poi non sarà più possibile nascondere o rinviare. “Quando avrò le istruzioni chiare da Bruxelles saprò dove andare ad incidere e a tagliare per recuperare le risorse” ha promesso Giorgetti. Che conferma anche l’obiettivo di incassare 20 miliardi dalle privatizzazioni nei tre anni. Alcuni studi hanno già dimostrato che la vendita di quote di minoranza delle aziende partecipate non raggiugono l’obiettivo. Al governo sarà chiesto anche di spiegare la strategia per ridurre il debito e come ridurre i mille miliardi di spesa pubblica. Una enormità. E dovrà rispondere.

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Giornalista originaria di Firenze laureata in letteratura italiana con 110 e lode. Vent'anni a Repubblica, nove a L'Unità.