Il Quirinale, la tenuta del governo Draghi, l’orizzonte politico del Movimento 5 Stelle e quindi il rapporto col suo garante, Beppe Grillo. Giuseppe Conte tenta di apparire come un ‘leader forte’ dei pentastellati in una videointervista al Corriere della Sera in cui l’ex presidente del Consiglio pur ammettendo “qualche incertezza” interna conferma la “grande disposizione” nella “stragrande maggioranza del Movimento”.

Restano fuori però i temi centrali proprio delle diatribe interne: dall’atteso voto online per il 2×1000, che alcuni leader interni (più Grillo) vedono come una bestemmia e una sconfessione delle battaglie sull’uso dei soldi pubblici nella politica che va avanti sin dalla nascita, fino alla questione delle presenze in tv o alla prossima battaglia sulla nomina del capogruppo alla Camera.

Conte parla di M5S per definire il suo rapporto con Grillo, con cui dice di sentirsi “molto spesso” e che “al di là della narrazione corrente, sono buoni i nostri rapporti. C’è grande rispetto per la sua figura, per il suo ruolo di garanzia, per quello che ha fatto e continuerà a fare”, sottolinea Conte, nonostante i numerosi retroscena che vogliono il co-fondatore a dir poco scontento della linea tenuta da Conte negli ultimi mesi.

IL RAPPORTO COL PD – Spazio quindi al rapporto con quelli che appaio come i principali alleati, quel Partito Democratico dell’alleanza progressista evocata sia da Zingaretti che da Letta. Un partito con cui “c’è un dialogo privilegiato”, conferma Conte, ma il concetto di “subalternità la escluderei proprio, se dovessimo riflettere su questo forse la subalternità è più del Pd, che ci ha seguito” spiega Conte, su “riduzione del numero dei parlamentari e il reddito di cittadinanza”.

Conte che non a caso mette un freno al campo largo lettiano: “Se lo allarghiamo troppo diventa un campo di battaglia. L’azione politica per essere efficace ha bisogno di coesione fra le forze, se si dilata questo schema, si rischia di compromettere il disegno politico”.

IL QUIRINALE E DRAGHI – Strettamente collegati sono quindi i discorsi sul Quirinale, con l’elezione del Capo dello Stato l’anno prossimo, e sulla tenuta del governo Draghi. Per il voto del prossimo inquilino del Colle, Conte apre ad un dialogo ampio, serve infatti “un confronto fra gruppi, e per quando ci può essere tra un’area progressista e una di destra”. Obiettivo è quello di trovare una figura “che rappresenta l’unità del Paese” e per questo “serve uno sforzo e uscire da uno steccato”.

Un proposito che per forza di cose dovrà fare i conti con un gruppo parlamentare, quello grillino, ridotto ‘a pezzi’ dopo mesi di battaglie interne, balcanizzato in vari gruppi tra fedelissimi di Conte, di Grillo, di Luigi Di Maio, di chi guarda con favore anche ad un ritorno di Alessandro Di Battista.

Quindi il capitolo Draghi. “Lo lascerei lavorare, sbagliato prendere per la giacchetta il presidente del Consiglio un giorno sì e l’altro pure”, dice Conte che in poche settimane ha prima aperto ad una sua elezione al Quirinale e poi ha fatto marcia indietro ‘blindandolo’ a Palazzo Chigi per arrivare a fine legislatura nel 2023.

Non a caso Conte, pur non definendosi “un aruspice”, spiega che il Movimento lavorerà “perché la legislatura in corso arrivi alla scadenza naturale. È un’anomalia che si debba interrompere una legislatura e che i governi in Italia durino così poco”.

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Napoletano, classe 1987, laureato in Lettere: vive di politica e basket.