Va tutto bene, madama la marchesa. Beppe Grillo si affanna a sostenere l’insostenibile, ma è del tutto evidente che nel Movimento il terremoto è in corso. È piombato all’improvviso a Roma, con poche ore di preavviso, per mettere il suo cappello su ciascun deputato, il giorno dopo la visita di Conte in Senato. E ha incontrato i parlamentari chiamando con sé Luigi Di Maio e Vito Crimi, ma non l’avvocato del popolo, tenuto a distanza di sicurezza dal blitz.

È vero, una telefonata apeasement c’era stata, ma più per dettare meglio le sue condizioni che per concedere spazio all’Avvocato del popolo. Il fondatore avrebbe infatti limato le asperità e concordato alla vigilia le regole del nuovo Movimento: il Garante manterrebbe una propria identità e una sua forza, con la prerogativa di poter cambiare anche in corsa il Capo politico, senza ricorrere a votazioni. Più gerarchia tribale che democrazia diretta, diciamo, ma a loro piace così. L’insofferenza è malcelata. Grillo passa in rassegna le truppe a Montecitorio, vuole guardarli in faccia e offrire loro il corpo del capo, consumando quel rito iniziatico che passa per sguardo complice, ricordo del percorso intrapreso e finale con il selfie, individuale e collettivo. Uno show, a suo modo. Ma anche una conta dei suoi che termina con uno sfogo.

Infatti Grillo a un certo punto sbotta: Rocco Casalino «è bravissimo sulle tv, ma si deve rapportare anche con il garante, non solo con il capo politico». Casalino è opera sua, lo ricordano tutti. Fu lui a sceglierlo e promuoverlo, lui a volerlo alle calcagna dell’incognito Conte. Non aveva previsto – per citare un gran film – le conseguenze dell’amore: il feeling tra Casalino e Conte ha scalzato Grillo mettendolo sin da allora nell’angolo. Ed ecco lo sfogo di Beppe, ieri in piedi al centro di una gremita auletta dei gruppi a Montecitorio: «A Conte ho detto: prendi il nostro statuto. Ma lui ha voluto fare una cosa diversa. Ed è arrivato con una cosa di trenta pagine con scritta: bozza». Altro che toni concilianti e «tre quarti di accordo fatto, tre quarti di statuto scritto».

Qui siamo in alto mare, anzi: nel maremoto. E quasi sferzato dal vento Grillo che sventola il testo del nuovo statuto davanti ai deputati provando poi a scherzarci su: «Io correggo con la penna rossa, lui ricorregge con un altro colore. Ho visto una cosa diversa da quello che mi aspettavo. Il nostro Movimento ha partecipazione democratica, – “consigli in rete” – ma Conte da avvocato lo ha trasformato e ha fatto uno statuto completamente diverso. Io ci sono rimasto così, avevo bisogno di tempo. Io sono il garante, sono il custode della nostra storia. E lui ha messo becco sulla funzione del garante», avrebbe sottolineato, aggiungendo: «Conte non è un visionario, ma è una ottima persona».

Dai tempi del zingarettiano “Campione di progressismo” alla brava persona qualcosa è cambiato. È certo. Le mire dell’ex premier sono chiare, il progetto di dare vita a un soggetto politico nuovo – non distante dal centrismo curiale, liberale in economia e moderato nel posizionamento politico – adesso disorienta perfino i suoi, per non parlare del Pd. Il deputato dem che incontriamo, garantito l’anonimato, ci fa mettere a verbale che il partito di Letta non si fida più di Conte. «Ma scusi, uno che va in televisione a dire che dal Conte I al Conte II non ha cambiato una parola, quale garanzia può dare? Fa professione di trasformismo, mette in chiaro che andrà dove tira il vento, dove gli converrà. Non può essere questo il perno di una alleanza strategica». Eppure punta a fare l’ago della bilancia, a rimettere in pista una Dc in sedicesimo. Il consiglio di colmare il vuoto del centro cattolico gli sarebbe arrivato da chi, al riparo di una fondazione politica romana, si starebbe prodigando nella tessitura della sua nuova rete.

Di Maio e Fico sono in campo e giocano di sponda. Placano gli animi di Grillo, con alterne fortune, e incassano un’assicurazione: una chance all’ex premier adesso va data. «Io non voglio indebolirlo, voglio rafforzarlo», ha assicurato loro il Garante. E rafforzarlo significa agevolarne l’ascesa («Adesso è il suo momento») senza escludere in futuro di staccargli la spina. Infatti la conclusione è nello stile del capo comico: «Sono il Garante, non sono un coglione. È Conte ad aver bisogno di me, non io di lui». E adesso? Uno a uno, palla al centro. La settimana prossima tocca di nuovo a Conte muovere; lo farà anche lui da Montecitorio, incontrando a piccoli gruppi tutti i deputati per «avere uno scambio di idee con ciascuno». Lo stop and go è sfibrante, il nuovo Movimento doveva essere presentato ieri a Roma e invece è andata in scena una surreale commedia da separati in casa.

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Ph.D. in Dottrine politiche, ha iniziato a scrivere per il Riformista nel 2003. Scrive di attualità e politica con interviste e inchieste.