Il Partito democratico ancora se ne deve fare una ragione dopo che Giuseppe Conte è andato a trattare con Matteo Salvini sul nome di Franco Frattini, il neo presidente del Consiglio di Stato, come eventuale candidatura da proporre per il Quirinale. Il nome è emerso ieri durante il vertice riservato tra il leader del Carroccio e quello pentastellato. Nell’ultimo vertice di centrosinistra a cui Conte era presente è stato deciso che non si sarebbe accettato nessun nome di area centrodestra, così il “re dei penultimatum” ha disatteso i dem. Su Frattini è arrivato il veto anche di Matteo Renzi.

Il senatore di Rignano va ripetendo in queste ore che “la candidatura di Mario Draghi non decolla ma quel che è peggio è che non si vedono alternative”. Nonostante ciò Enrico Letta punta a incoronare l’ex numero uno della Bce nella quarta votazione di giovedì con il quorum abbassato alla maggioranza semplice, ovvero 505 voti, e a sentire lui ci sarebbe da essere fiduciosi.

Dal Pd, nel quale si cominciano a intravedere le prime crepe, viene dichiarata la preferenza a un candidato che può unire: non Draghi, bensì Pier Ferdinando Casini. Forse prime avvisaglie di un malumore. Il più agguerrito contro Draghi resta il ministro Dario Franceschini, ma da qualche giorno è sulla stessa lunghezza d’onda anche Luca Lotti, numero due di Base Riformista.

“Un anno fa ci siamo predisposti a un perimetro di maggioranza non certo confortevole. Oggi secondo noi se abbiamo affidato a un timoniere questa nave in difficoltà non ci sono le condizioni perché si possano fermare i motori, cambiare equipaggio o chiedere al timoniere un altro incarico” ha detto il leader del M5S Giuseppe Conte parlando con i cronisti fuori dalla Camera. “Questa è la conferma del ruolo che attribuiamo al timoniere perché la nostra nave è ancora in difficoltà”, aggiunge. “Per quanto riguarda i nomi proposti dal centrodestra – invece continua – hanno il diritto e il dovere di presentarli. Queste proposte le rispettiamo e ci riserveremo di valutarle però diciamo subito che nessuno può vantare un diritto di prelazione nell’eleggere un Capo dello Stato che sia di una certa area culturale”.

La posizione futura di Mario Draghi è sotto la lente anche della Casa Bianca. A Washington stanno monitorando la situazione dagli ambienti del Dipartimento di Stato che non nasconde una certa preoccupazione per come si stanno mettendo le cose. A dare pensiero agli strateghi della Casa Bianca sono soprattutto le divisioni tra i partiti italiani e le ricadute che una mancata elezione del premier al Colle che piace invece agli apparati statunitensi. Emblematico il colloquio di ieri sera, lunedì 24, tra Draghi e Joe Biden.

L’ex presidente della Bce ha sempre tenuto di gran conto la stampa economica internazionale ma dopo aver ottenuto articoli favorevoli dal Financial Times, da Bloomberg e The Economist che ha elogiato l’Italia come ‘Paese dell’anno’ è arrivata la ‘bastonata’. La speranza per Draghi era di ottenere il via libera per la presidenza della Repubblica e non un titolo tipo ‘Draghi al Colle è un male per l’Italia e l’Ue’. La cosa curiosa poi è che la proprietà dell’Economist, bibbia dell’establishment anglosassone, è targata Exor, ovvero John Elkann. Lo stesso Elkann che era stato ricevuto con tutti gli onori (e con tutto riserbo) solo pochi giorni fa a palazzo Chigi.

Riccardo Annibali

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