In Aula a Montecitorio mani nervose artigliano le spalle del povero deputato già in piedi, giusto un secondo prima che scenda le scale per votare. In Transatlantico, alla bouvette, nei tavolini affacciati su piazza della Maddalena, attorno ai capannelli di 5 stelle svolazzano mani esperte che modellano nell’aria promesse, schieramenti e scenari immaginari: tutti a corteggiare i grillini. È la vendetta dei peones. La caccia al voto è scatenata ed è il loro gran momento. Loro sono impauriti, sbigottiti, sospesi nel vuoto di un futuro incerto, ma restano pur sempre tanti. E imprescindibili per i candidati al Colle. All’odiato Draghi molti sognano di potere finalmente farla pagare cara. Fargli scontare l’alzata di spalle, il ghigno, il disprezzo.

Pomposi, impacciati, ma non innocui, i parlamentari M5s già brindano con gioia spaventata allo scorno del Banchiere, lo chiamano così. Amici di Di Maio più fitti alla Camera, fedeli a Conte più forti in Senato. Si citano tra loro con distacco come se non ricordasserro bene nomi e facce. Le previsioni del tempo le dà il vicecapogruppo al Senato, contiano, Gianluca Ferrara: «Ci sono nomi coperti che il centrodestra potrebbe votare. Non possiamo buttarci su una figura dichiaratamente schierata. Serve un nome super partes. Anche la Belloni, che è persona seria e ha lavorato bene alla Farnesina per tanti anni». Il suo tono è categorico, la sostanza vagolante: «Bisogna trovare una convergenza, un accordo tutti insieme». Anche con Renzi, quindi. «No, con Renzi non si tratta nulla perché ha fatto cadere il Conte2». Lui tiene molto ad intestarsi lo stop a Berlusconi. «Berlusconi l’abbiamo seccato, ora scartare Draghi è il nostro obiettivo. Poi vedremo». I peonos grillini pregano Dio che alla fine si arrenda Mattarella (125 voti alla terza chiama). Che Draghi resti dov’è, Mattarella pure e la grande paura si dissolva.

«Se passa Draghi ormai è perché lo vuole Salvini» ragionano sconsolati riifacendo i conti. Draghi al Quirinale ci sono demaiani che lo voterebbero. Su quello si spaccherebbe il movimento. Al Senato, anche se dopo mille capriole arrivasse l’indicazione di votare il premier, l’ordine di partito non verrebbe rispettato. Tra loro si contano e si ricontano, tentano di stanarsi. Sotto la luce color cenere che piove giù dal lucernario della Camera si scrutano l’un l’altro. Studiano le facce degli altri”, dei compagni di movimento dell’altro bando. «Inutile rivolgere domande ai grillini, ognuno dice una cosa diversa» raccomanda un alleato di governo. I grillini parlano, seppur dentro una nebbia fitta di frasi mozze. Come mortaretti sparano frasette orecchiate all’uscita di riunioni alle quali, si capisce dall’occhio tremulo, non hanno partecipato.

Ti guardano con lo sguardo spaurito di chi non sa dove sta seduto. Non sanno cosa succede, come se qualcuno gli avesse tagliato le linee telefoniche. I più spavaldi si danno un tono scettico. China sul cellulare, Anna Macina, sottosegretaria alla Giustizia, se le chiedi una previsione sulla trattativa, alza gli occhi solo per dire siamo qui anche noi a guardare le agenzie. I capetti grillini parlottano e sghignazzano tra loro con una punta di disagio. Rivendicano la gloria di aver silurato Berlusconi, ma sembrano naufraghi più che siluratori. Sono preoccupati che alcuni tra loro possano cedere e votare davvero per il Quirinale la berlusconianissima presidente del Senato. Gli ex alleati di governo leghisti ci hanno provato e riprovato a convincerli uno ad uno. «A me la Casellati m’ha fatto cercare con insistenza per tutta la settimana» racconta uno di loro. Dice di non aver mai risposto.

Di Maio voterebbe forse Casellati? È ancora il senatore Gianluca Ferrara a dire: «Luigi ha un rapporto con lei, ma è indigeribile per noi una che ha occupato il Tribunale di Milano, ha usato come ha usato lei quest’estate i voli di Stato. Serve una persona sobria». Poi esita. «Certo è una donna, certo è la seconda carica dello Stato e certo l’abbiamo già votata per la presidenza del Senato”. Possibile che un grillino non tema che se passa il nome Casellati la maggioranza si spacca, il governo cade, si va ad elezioni e tanti saluti allo stipendio da parlamentare? Non è scontato, dicono. Temono ancora che il deputato ruspante nella trappola Casellati possa cascarci. «Tanto il voto è segreto», qualcuno la potrebbe votare persuaso che così non si andrebbe a elezioni.

Quelli che al Quirinale proprio con la vogliono, quello a cui ha dato del “gran maleducato” in Senato per esempio, contano sul fatto che molti in Forza Italia la sopportano a stento e sperano che Renzi non se la senta di saltare così clamorosamente a destra. I peones accendono un cero alla possibilità che lo stallo sia così duro e così drammatico che un appello corale in ginocchio a Mattarella alla fine arrivi. Ma lui ha detto che non vuole, non ci sta. «È della Dc – dice uno dei più vecchi tra i grillini deputati – ci sta, ci sta».