Prossimo ruolo, quello del king maker. Un ruolo che ha strappato con doppio dribbling a Salvini. Poi, non sapremo come andrà davvero a finire, ma osserviamo – più che leggere – le prime e le successive pagine dei giornali. Tutti. Ora, onestamente, quante volte è stata lanciata come slogan l’espressione esorcistica del mai avvenuto “dopo Berlusconi”? Il dopo Berlusconi, inteso come speranza di averlo ferito e ucciso, poi di averlo sepolto e umiliato (estromesso dal Senato, degradato come il capitano Dreyfus, trucidato da un plotone di SS mediatiche e razziste che non paga mai pegno) non solo non si è mai visto, ma si è vista la sua apoteosi.

Il grande circo del settennale “Quirinal Show” ha dovuto fermarsi per aspettare le sue decisioni formali. Non importa se tutti danno per scontato che rinunci (che, poi, vedremo) perché il semplice fatto che tutta la politica e le istituzioni siano rimaste immobili col fiato sospeso come nella fiaba della bella addormentata in attesa che Berlusconi autorizzasse la ripresa delle danze, è una immagine plastica della realtà, quale che sia l’epilogo. “Attenzionato” da più di un Presidente della Repubblica con Consiglio Superiore della Magistratura al seguito (vedi le illuminanti confessioni del giudice Palamara), sappiamo tutti, estimatori e no, che la vita e la carriera di quest’uomo sono state e ancora restano eccezionali. Non vogliamo infatti parlare di Berlusconi Presidente ma di Berlusconi fenomeno italiano e del suo duello lungo più di trent’anni con la sinistra figlia del Partito comunista.

Berlusconi è un campione della sua classe sociale, la borghesia produttiva, e di quella ha le stimmate. Che piacciono a tutti i borghesi e che irritano tutti gli anti-borghesi. E, tanto per cominciare, Berlusconi è paradossalmente il più tenace antifascista del dopoguerra, uno che ha preso il partito neo-fascista riutilizzato da Gianfranco Fini. E l’ha distrutto. L’ha fatto senza un programma, ma seguendo l’istinto. L’ho sentito personalmente esprimere un sordo disprezzo per i fascisti e neofascisti con cui per realismo si è alleato, distruggendoli. Il “Che fai? Mi cacci?” è la resa finale, l’ultimo atto del già riformato neofascismo italiano. Ma il suo anticomunismo è la vera chiave di tutto. Del suo successo e delle sue rovine. Quando vide che la vittoria del Pds, ovvero del Pci ristilizzato alla svelta da Achille Occhetto, era pronto a prendere il potere con il via libera degli Stati Uniti essendo finita la guerra fredda, considerò questa evenienza come la fine della borghesia liberale.

Quando si dice liberale nel senso di Berlusconi, si parla di libertà d’impresa e di libertà di scambio, libertà personale e poi di creare, costruire, fallire se necessario. Certo, Berlusconi come tutti i grandi borghesi italiani, specialmente lui che era un veloce e superdotato self made man, aveva allora un istinto naturale nello scegliere la libertà come strumento di battaglia e fu allora molto creativo e brillante nell’attrarre a sé una parte dell’intellettualità di sinistra, da Lucio Colletti a Saverio Vertone, da Giuliano Ferrara a Lino Jannuzzi e centinaia d’altri. Fu un evento storico. Mi disse di aver tentato in tutti i modi di convincere Mario Segni che era allora popolarissimo, a varcare il Rubicone e prendersi l’Italia attraverso il consenso, ma Mino Martinazzoli, segretario della Dc, non gli dette l’autorizzazione e così con una performance che non si era mai vista in Italia, radunò un’armata che metteva insieme i leghisti di Bossi e gli ex neofascisti di Fini e conquistò la maggioranza degli italiani.

Da allora, il disastro: lo hanno processato quasi sessanta volte ed è stato condannato un’unica volta in modalità tali da provocare l’intervento della suprema corte di Strasburgo. Ma non vogliamo neppure andare avanti ripetendo la sua storia e le sue imprese e battaglie, perché quel che preme riportare alla luce è il fatto che questo signore ha determinato la storia d’Italia, l’ha fatta e l’ha fatta immergendosi nelle scorie radioattive del terrore. “Terrore” può sembrare parola enfatica, mentre è proporzionata. Il terrore si ha quando un partito o una fazione mira non alla vittoria su un’altra fazione, ma alla sua distruzione fisica. Quando Robespierre teorizzò l’uso del terrore come primo strumento di lotta politica, spiegò che il terrore deve essere cieco e irragionevole anche all’interno delle sue fila. Il comunismo ereditò questa tecnica con Lenin che la teorizzò, l’applicò con la distruzione fisica della borghesia e lo stesso fecero i comunisti ovunque presero il potere sia in modo legale (Cecoslovacchia) che con la forza delle armi. E in Italia le imprese della Volante Rossa a guerra finita dimostrarono semmai ce ne fosse bisogno che la guerra antiborghese, sempre più cauta nel linguaggio e nelle aperture togliattiane, resisteva come obiettivo finale. Non c’era più pericolo di vita, ma pericolo per le libertà fondamentali che reggono la libertà d’impresa.

Fu questa l’origine di uno scontro sotto forma di duello. I comunisti più miopi – visto che nel Pci era cresciuta un’area molto liberale e spesso filoamericana – o quelli a bassa intensità di percezione, cominciarono subito dopo la sua dichiarazione di guerra o “discesa in campo” a colpirlo con avvisi di garanzia e poi con accuse tutte variamente infamanti. La prima fu un avviso di garanzia pubblicato in prima pagina sul Corriere della Sera mentre presiedeva a Napoli un summit mondiale sulla lotta alla criminalità organizzata, che lo accusava di collusioni con la criminalità organizzata, reato da cui fu assolto con formula piena molti anni più tardi. E da allora mi sono sempre trovato in mezzo – io che con lui ho avuto una franca e netta diversità di vedute che mi portò fuori dal suo partito e dal Parlamento – a crocicchi di astuti sprovveduti che conoscevano e conoscono una sola canzone: come sarà il dopo Berlusconi?

Il dopo Berlusconi non è mai arrivato, tanto è vero che in questo momento l’Italia sta col fiato sospeso ad attendere di conoscere le decisioni o le scelte di quest’uomo che era stato dato per morto decine di volte, sempre per ottusità o miopia o entrambe le cose dei suoi nemici, non avversari. È vero anche che non è riuscito a fare le cose che aveva annunciato nel libro L’Italia che vorrei. A fermarlo è stata la necessità esistenziale di dimostrarsi vivi da parte di alleati che gli hanno impedito di governare davvero alleandosi in vari modi con altri Presidenti della Repubblica che partecipavano a tutti i complotti possibili per eliminarlo. La “Costituzione più bella del mondo” ha dimostrato tutte le sue inadeguatezze e il vecchiume del mondo della guerra fredda da cui era stata generata.

Ma lui ha tenuto sempre il punto, anche quando è stato costretto a umiliarsi nel volontariato forzato con i bambini e facendo valere la sua sfidante spontaneità che manda in bestia la categoria (peraltro ormai estinta) dei radical chic, detta anche gauche caviar, che stabilisce secondo i propri estenuati canoni chi abbia la legittimità e chi no, di far carriera e occupare i posti del potere reale. Oggi, Berlusconi appare come un vincitore e la sua anzianità ha reso il suo atteggiamento sempre meno spavaldo e sempre più sociale o compassionate. Quindi, mettetela come volete, per ora ha vinto sempre lui e quando ha perso non è che al Paese sia andata granché bene.

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Giornalista e politico è stato vicedirettore de Il Giornale. Membro della Fondazione Italia Usa è stato senatore nella XIV e XV legislatura per Forza Italia e deputato nella XVI per Il Popolo della Libertà.