«La settimana prossima, quando si comincia a votare, la Lega, come forza responsabile e di governo, adesso e nei prossimi anni, farà una proposta che penso potrà essere convincente per tanti, se non per tutti». Le parole che Matteo Salvini ha pronunciato ieri davanti ai giornalisti hanno mandato a carte quarantotto tutta la strategia di cui Berlusconi si era fatto carico. Addio agli accordi di villa Grande. Spunta l’ombra di un nome nuovo, di una «proposta convincente per tanti».

Salvini sembra essersi convinto che in realtà non avrà i voti per puntare al Colle. «Gliene mancano più di 100. Come fa?», ha confidato il leader della Lega a parlamentari amici. Il leader leghista ha anche confessato il proprio stupore alla notizia della visita di Gianni Letta a Palazzo Chigi, per incontrare Antonio Funiciello, capo di gabinetto di Mario Draghi. Si sarebbe convinto del fatto che Berlusconi, lungi dal riuscire a spuntarla per sé, possa mettere i suoi voti a disposizione dell’elezione di Mario Draghi. Il sospetto tra i leghisti è che Gianni Letta abbia voluto rassicurare Draghi proprio su questo punto.

Meglio muoversi in anticipo, per Salvini e Meloni, prima di giovedì-venerdì, quando è fissato il nuovo vertice di centrodestra. Così Salvini ieri ha messo in chiaro le sue condizioni: «Aspettiamo Berlusconi fino alla prima votazione». Non oltre. Un fulmine a ciel sereno che rischia di incendiare il centrodestra. Forza Italia si affretta a stemperare: «Le dichiarazioni di Salvini sono in linea con gli impegni presi e l’accordo raggiunto alla riunione dei leader del centrodestra di venerdì scorso. Il centrodestra affronterà l’elezione del presidente della Repubblica – come tutti i prossimi appuntamenti elettorali – unito e saprà esprimere un candidato all’altezza». Una toppa che è peggio del buco, se sono proprio gli azzurri a parlare di candidato all’altezza senza menzionare esplicitamente Berlusconi.

A una settimana dalla prima votazione per eleggere il presidente della Repubblica, la partita rimane tutta aperta. Il Cavaliere, dal canto suo, sembra determinato a proseguire lo scouting tra i parlamentari del gruppo Misto per ampliare il pacchetto dei voti della coalizione di centrodestra, che sulla carta gli garantisce 450 preferenze. Ma è chiaro che lo spettro dei franchi tiratori, i cui dubbi sono stati rinfocolati da Salvini, minano le sue ambizioni. Un nuovo vertice tra i leader del centrodestra è in programma a metà settimana, mentre Enrico Letta dovrebbe incontrare Giuseppe Conte e Roberto Speranza. Al Nazareno si festeggia il seggio difeso di Roma centro, dove Cecilia d’Elia prende il posto di Roberto Gualtieri. E si deve fare i conti con la consegna del silenzio, con il segretario Letta che invita alla prudenza per non bruciare i candidati. Una parte dei Democratici punta dritto su Mario Draghi come successore di Mattarella, ma prima serve un patto con tutta la maggioranza per proseguire la legislatura. Quanto al toto-nomi, i profili che ieri hanno preso quota sono quelli di Anna Finocchiaro per il centrosinistra; Letizia Moratti, Elisabetta Casellati, Franco Frattini e Giulio Tremonti per il centrodestra.

L’unica certezza è che le urne si apriranno il 24 gennaio, con seggio allestito a Montecitorio, con una votazione al giorno fino alla “fumata bianca”. Il presidente della Camera, Roberto Fico, assicura che «tutto si svolgerà in sicurezza» applicando i protocolli anti-covid. I positivi per ora non potranno votare, anche se la Lega protesta e ha ottenuto un supplemento di riflessione. I non vaccinati voteranno, ma con tampone. I 1.009 “grandi elettori” saranno chiamati al voto in blocchi da 50, partendo dai senatori a vita, seguiranno i parlamentari e infine i delegati regionali. Nel Movimento c’è aria di tempesta e ieri è successo di tutto. Se il centrodestra sussulta, il centrosinistra trema. Matteo Renzi – che può festeggiare il 13% preso da Italia Viva alle suppletive di Roma, presentandosi per la prima volta con il suo simbolo – affida la sua analisi a un tweet: «Pd e 5 Stelle? Enrico Letta ha proposto al centrodestra un accordo complessivo da qui al 2023 in modo serio e ragionevole. Quanto a Conte, non ho capito cosa vuole ma… non l’ha capito nemmeno lui. Cerca solo di dare l’impressione di essere in partita».

Tra Dem e Cinque Stelle l’aria si fa tesa sin dal mattino, con il caffè che va di traverso all’Avvocato del popolo dopo aver letto il Corriere. In una intervista, Roncone fa parlare Goffredo Bettini: «Lo vedo in notevole difficoltà. Un uomo leale, che apprezzo: ma più leader di governo che capo di un partito», ha detto lo spin doctor del “contismo progressista”. Apriti cielo. I fedelissimi di Di Maio hanno colto la palla al balzo. Stefano Patuanelli: «Se l’unità d’intenti in vista del Quirinale è rappresentata da interviste e colloqui rilasciati alla stampa in cui si esprimono giudizi sul Movimento e il suo leader politico, cosa che non ci permettiamo di fare specialmente in questa fase, direi che la direzione di marcia della coalizione non è quella giusta». Non da meno il vice presidente di Conte, Riccardo Ricciardi: «Lasciano perplessi le parole espresse sulla leadership del presidente Conte da parte di un nostro alleato. Gli altri partiti, da sempre, giudicano le dinamiche del Movimento come se fosse un partito tradizionale, preda di correnti e personalismi. Hanno sempre sbagliato e sbagliano anche ora».

Non sono pochi i parlamentari che premono per un cambio di rotta nei rapporti con Bettini e con il Pd. Le chat ribollono. Qualcuno ricorda che a dare la “patente di consigliere” è stato proprio Conte già quando era a Palazzo Chigi. Il deputato Francesco Berti sintetizza: «Non capisco perché Bettini sia così ascoltato dai vertici M5S. Spazio a energie nuove, in Parlamento e nei territori. A chi parla solo di strategie e relazioni, va preferito chi parla di temi e soluzioni». Al Senato i grillini si sono tornati a riunire alle 22 di ieri sera, terminando in notturna, quando tutti i giornali erano già in stampa. Una scelta prudente al termine di una giornata sopra le righe. Uno dei pupilli di Conte, il suo vice presidente Mario Turco, stava tenendo una conferenza sulla “Pubblica amministrazione trasparente”, quando nell’aula del Senato le slide previste si sono trasformate nello spezzone di un film porno che ha costretto la senatrice Maria Laura Mantovani ad interrompere il collegamento. Bene la trasparenza, ma non esageriamo.

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Ph.D. in Dottrine politiche, ha iniziato a scrivere per il Riformista nel 2003. Scrive di attualità e politica con interviste e inchieste.