Gli piace farsi chiamare “pallettaro”. È un understatement romano: vuol dire giocatore di tennis della domenica che non è proprio un campione ma insomma tira e spara dei pallettoni quando si va a scaricare i nervi a Capalbio. Giuliano era il principe degli editorialisti di Repubblica, quando quel nuovissimo giornale non aveva ancora assunto un orientamento cozza-scoglio con il Pc di Berlinguer.

Amato era un analista di sinistra non comunista e una mattina lo incontrai nella segreteria di redazione di piazza Indipendenza che chiedeva il conto come quando si lascia un albergo. Gli chiesi: “ Stai partendo? Mi rispose con aria vaga che partiva per uno stage in Inghilterra o negli Stati Uniti che lo avrebbe tenuto per un po’ lontano da Roma. Ma era una copertura: Giuliano. zitto zitto piano piano, senza fare confusione, saliva dalla scala del balcone da Bettino e se ne andò. Ricomparve prestissimo come il cervello fino e pensante del neosegretario del partito socialista italiano che era anche il nemico, anzi l’arcinemico dichiarato di Eugenio Scalfari. Era un’epoca, quella, in cui o stavi da una parte o stavi dall’altra. Per me era un tormento perché ero sia socialista che un patriota di Repubblica che era un magnifico giornale di battaglia.

Giuliano intraprese una carriera politica di spessore e diventò il numero due del partito socialista in netta competizione con Claudio Martelli che giocava come delfino (e Craxi lo chiamava affettuosamente Gianburrasca) ed era anche, in competizione con Bobo Craxi figlio di Bettino che non lo vedeva bene e invece per tutti gli altri del campo politico Giuliano era diventato il compagno che aveva un po’ sbagliato ma che finalmente era tornato a casa. Parlo della casa socialista, non di quella comunista, ma era allora una strana casa se solo si considera che per un periodo pur breve a dirigere la sezione culturale del partito socialista craxiano fu scelto il mio amico Paolo Flores d’Arcais che poi dalla rivista Micromega avrebbe bombardato con missili caricati a chilotoni mensili le posizioni craxiane poi subito dopo quelle berlusconiane.

Era un periodo di grande rimescolamento ideologico: Bettino con la scopa mandava in soffitta la attrezzeria ferrosa dei simboli del Psi, la falce e il martello di derivazione sovietica, ripristinando il libro aperto della cultura e il sol dell’avvenire. Stava nascendo un partito di sinistra anticomunista che dispiaceva moltissimo non soltanto ai comunisti ma a più della metà della Democrazia cristiana che vedeva nell’anticomunismo dei craxiani un’ombra mussoliniana visto che lo stesso Craxi con limpida improntitudine si divertiva a ricordare che il capo del fascismo era pur sempre stato l’ultimo socialista rivoluzionario, l’eroe della settimana rossa e delle battaglie operaie contro l’imperialismo e la conquista della Libia nel 1912. Anch’io costretto a scegliere fra Scalfari e Craxi, scelsi Craxi ma quando una mia striscia televisiva che si chiamava “Rosso di sera” lo irritò, mi fece cacciare in tronco dal direttore di Rai Due che mi aspettava davanti alla porta dell’ascensore “Oggi pè te è na brutta giornata: ha detto Bettino che te devo chiude”. Proteste per la feroce repressione? Nessuno fiatò.

Quando andai a chiedere spiegazioni a Via del Corso nella nuova sede che i craxiani avevano trasformato in un Pirellone milanese tutto moquette azzurre e pareti di plastica, Giuliano Amato in maniche di camicia mi accolse: “Ti porto io da Bettino così vi chiarite”. Non ci fu alcun chiarimento benché fossimo amici e lui, Bettino, era anche quel cinghialone timido e improvvisamente brutale che era. Amato si guadagnò il titolo di Dottor Sottile.
Poi arrivò il caso Achille Lauro in cui io ero dalla partner di Leon Klinghoffer, ebreo americano paralizzato su sedia a rotelle, ucciso a colpi di mitra sulla nave italiana Achille Lauro occupata dai pirati palestinesi di Al Fatah e fu Sigonella.

Amato partecipò attivamente alla partita al cui termine i soldati italiani circondavano a mitra spianati i marines americani. Anche loro a mitra spianati circondavano l’aereo dei palestinesi fatto atterrare con la forza a Sigonella dal colonnello Oliver North e io dal Cairo trovai le prove della grande bugia e feci saltare la copertura diplomatica data ai terroristi. Ma per tutti Sigonella fu la quarta o quinta guerra del Risorgimento, e dunque Craxi vinse di fronte all’opinione pubblica di sinistra italiana che lo celebrò come Garibaldi. Ronald Reagan si incuriosì di questo tipo italiano. Si disse molto che gli americani avevano scoperto le virtù di un veramente straordinario Giuliano Amato, accademico all’Università della Sapienza, editorialista, maître à penser, politico, ministro pallettaro a Capalbio, ma anche due volte Presidente de Consiglio del ministro del Tesoro (fu quello che prelevò dai conti correnti degli italiani la somma di cui l’erario aveva bisogno, con un colpaccio senza precedenti) e ministro per le riforme istituzionali, torinese di 83 anni trascorsi quasi tutti a Roma, tanto che parla romano. Come socialista craxiano è stato un grande sostenitore del presidenzialismo sia alla francese che all’americana. Oggi è giudice costituzionale, anzi vicepresidente della Consulta.

L’ultima volta che non arrivò per un soffio alla ribalta delle ribalte fu sette anni fa quando – sponsor Denis Verdini (la cui figlia è la fidanzata di Matteo Salvini) – funzionava il tavolo del Nazareno. Ricordate? Matteo Renzi segretario del Pd (di cui si diceva che era l’unico “bambino che mangia i comunisti”) e che incontrava regolarmente Silvio Berlusconi che lo andava a trovare in terra infidelium. “Eravamo d’accordo sul nome di Giuliano Amato per il Quirinale”, mi ricordò Berlusconi a quei tempi, “ma Matteo di colpo aveva cambiato idea e scelto Mattarella mettendomi in condizione di inferiorità, come se io non avessi voluto Mattarella”. E finirono gli incontri del Nazareno. Sette anni dopo è ormai noto il piano B di Silvio: se non fanno passare lui quando si arriva alla quarta votazione, allora si converge su Giuliano Amato con un suo seguito, ed è fatta. Anche se di norma, chi entra papa in conclave ne esce cardinale, come ben sanno Romano Prodi e lo stesso Amato. Ma stavolta le probabilità crescono, benché Berlusconi non abbia del tutto rinunciato al suo progetto. Berlusconi in ogni caso desidera che la sua candidatura sia ampiamente onorata, e poi eventualmente passare al piano B, un piano meno amato ma che potrebbe essere solo quello di Giuliano Amato.

Secondo le ultime notizie per il dottor Sottile farebbe il tifo anche Umberto Bossi e si sa che tra i Fratelli d’Italia non mancherebbero i franchi tiratori. Amato appartiene alla mia generazione nata mentre soffiavano in venti di guerra e abbiamo letto gli stessi fumetti adorando i nomi di personaggi scomparsi: uno era Eta Beta, omiciattolo dalle risorse miracolose proveniente dal futuro, e Amato tentò a lungo di far nascere un “Partito Eta Beta”, di cui oggi nessuno capirebbe il significato. Quando il Psi crollò e Craxi fu costretto a fuggire in Tunisia dove morì perché non gli fu concesso un salvacondotto chirurgico, i socialisti accusarono Amato di essere fuggito dalla barca che affondava nuotando a poderose bracciate verso la riconciliazione con la sinistra di radici comuniste.

Le sue qualità sono note: mediazione, conoscenze, autorevolezza, accademia, diplomazia, idee chiare e leaderismo, ma sempre con un atteggiamento da pallettaro di Capalbio, piccola falsa modestia accattivante e scatto sottorete quando è il momento. Narcisismo, quanto basta: non ricordo l’occasione, ma un giorno in Parlamento mi sussurrò: “Nessuno è mai veramente contro di me, prima o poi tutti si rendono conto che sono indispensabile”.

Avatar photo

Giornalista e politico è stato vicedirettore de Il Giornale. Membro della Fondazione Italia Usa è stato senatore nella XIV e XV legislatura per Forza Italia e deputato nella XVI per Il Popolo della Libertà.