Il dibattito sul nuovo governo
“Parlare male di Draghi? Non si può…”, intervista a Luciano Canfora
Come ti smonto un “mito”. Il mito dell’uomo della provvidenza, del salvatore della patria. Il mito-Draghi. Con una ironia corazzata di cultura. È quello che fa il professor Luciano Canfora, filologo, storico, saggista, una “coscienza critica” della sinistra. Una voce libera, fuori dal coro, cosa sempre più rara nell’Italia d’oggi, in cui lo sport nazionale sembra essere la corsa a salire sul carro del vincitore, o presunto tale.
Professore emerito dell’Università di Bari, membro del Consiglio scientifico dell’Istituto dell’Enciclopedia italiana e direttore della rivista Quaderni di Storia (Dedalo Edizioni). Tra i suoi libri, ricordiamo: Fermare l’odio (Laterza); Il sovversivo. Concetto Marchesi e il comunismo italiano (Laterza); Il presente come storia; Europa gigante incatenato (Dedalo), e il recentissimo La metamorfosi (Editori Laterza), sulla storia del Pci nel centenario della sua fondazione.
Professor Canfora, anche lei è stato folgorato sulla via del “draghismo”?
Come non essere consenziente. Perché mi pare che lui abbia resuscitato Lazzaro e già moltiplicato i pani e i pesci. Paolo di Tarso è il nostro modello. Da Zingaretti a Salvini, sono tutti sulla via di Damasco. E quindi dinanzi a questi miracoli già fatti e a quelli da fare, che saranno ancora più numerosi, chi può resistere?
Dalle pungenti metafore storico-religiose, a quelle più prosaiche. Si dice che in Italia lo sport più popolare sia il calcio. Ma in politica non è il salto sul carro del vincitore, o presunto tale?
I partiti politici, quelli ancora viventi perché poi ci sono quelli moribondi dei quali forse non vale la pena neanche più parlare, erano divisi, mi riferisco essenzialmente alla Lega che è forse il più vitale dei partiti, tra l’idea se resto fuori mi conviene elettoralmente, se vado dentro mi conviene egualmente sul piano elettorale. Nessuno ha la palla di vetro. Giorgetti ha suggerito a Salvini che è meglio entrare e così avrà un bel frutto perché metterà anche lui voce e becco sull’utilizzo dei famosi, mitici e in gran parte già spesi 209 miliardi, e in campagna elettorale dirà: abbiamo fatto il bene dell’Italia. Non so se invece Meloni sia stata più lungimirante, sulla base dell’esperienza del governo Monti. Si tratta semplicemente di questo: si sono chiesti cosa è meglio, guadagno di più a star dentro o mi si nota di più, elettoralmente, a stare di fuori. Siamo alla versione politica di Ecce Bombo di Nanni Moretti: mi si nota di più se vengo e me ne sto un po’ in disparte o se non vengo per niente. Alla fine il protagonista decide: Vengo. Solo che gli attori politici in disparte non vogliono stare. E poi in sottofondo, c’è il fatto che 12mila euro al mese per ciascun parlamentare, è una rendita alla quale è difficile rinunciare, e almeno il 70 per cento dei parlamentari attualmente in carica è sicuro di non tornare su quegli scranni dorati. Questa storia di Draghi depositario dei 209 miliardi ricorda l’indimenticabile Signor Bonaventura, consegnato alla storia, non solo quella dei fumetti, dal Corriere dei piccoli con l’assegno, pure quello mitico, di un milione in mano.
In tutto questo cosa resta della sinistra, passata dal Conte ter o al voto al Draghi salvatore del Bel Paese?
Forse la parola voto era usata in senso latino di ex voto. Cioè quel dono che si porta ai santi in chiesa quando, che so, si è recuperato l’uso di una gamba, e l’ex voto consiste in una piccola gamba che viene poggiata ai piedi della statua del santo. Era questo. Noi comuni mortali non lo avevamo capito, ma quando parlavano di voto intendevano questo.
Il professor Draghi è sicuramente una persona di grande autorevolezza prim’ancora che di autorità…
Questo non lo so. Me lo dice lei e ci crederò perché è un bravo giornalista, evidentemente ha delle buone informazioni che a me mancano.
Mito per mito. Questo mitico programma di cui tutti parlano. Con tutta l’autorevolezza e l’esperienza che si riconoscono al presidente del Consiglio incaricato, come si può conciliare, per fare un esempio, il Salvini dei porti sbarrati con chi, almeno a parole, evoca una Italia aperta, non solo nei suoi porti, solidale, inclusiva nei confronti di quelli che stanno peggio, in questo caso migranti e rifugiati?
A me pare si possa dire che l’uso che Salvini faceva della parola d’ordine porti chiusi, fuori i migranti, rispediamoli a casa con i charter, era essenzialmente di carattere elettorale. Non c’è dubbio. Si era convinto, e in parte aveva ragione dal suo punto di vista, che quello fosse un cavallo di battaglia per mangiare voti e consenso alla grande. Ma adesso non gli serve quello. Gli serve: abbiamo salvato il Paese usando bene i 209 miliardi. E questo sarà il suo cavallo di battaglia. Il problema di Salvini è vincere le elezioni: lui non ha una idea precisa, una ideologia, un punto di vista, è semplicemente una macchina per prendere voti e poi quando arriverà al potere, se ce la farà, metterà in atto la sua politica xenofoba che è dentro il suo cuore. Per ora i due strumenti si equivalgono. Sono due modi per prendere voti. Non c’è da stupirsene. Piuttosto, del programma di Draghi la cosa più certa, almeno dalla lettura dei giornali, è che allungherebbe l’anno scolastico fino al 30 giugno. Che fa un po’ ridere. Perché da una parte prescinde da quello che magari sarà detto dagli esperti sull’andamento dei contagi. E dall’altra, prescinde dal fatto che nelle scuole non si è fatto praticamente nulla per quel che riguarda gli edifici, l’ampliamento degli spazi, il trattamento degli insegnanti. Insomma, tutto quello che rende la nostra scuola affannata e mal funzionante non è che lo puoi dimenticare dall’oggi al domani e dici andiamo avanti fino al 30 giugno. Al 30 giugno, a Palermo si fanno i bagni, per dire, ma questo non è importantissimo, uno può andare anche in costume da bagno, se vuole. La sua idea un po’ fa sorridere quando si aggrappa al “modello europeo”. Ora, il “modello europeo” è che in Germania si va a scuola a partire da agosto. Però si fanno vacanze lunghissime a Pasqua e a Natale, non è che quelli lavorano o studiano di più. Solo che il mito che l’Europa fra Copenaghen e Stoccolma, passando per Berlino, è meglio di noi alberga stabilmente nella testa del futuro presidente del Consiglio.
Abbiamo detto del Pd. E della sinistra più a sinistra, anch’essa attratta, sia pur con meno enfasi, dalla “sirena” Draghi?
Che dire. L’atomo fa lezione dai tempi di Fermi in avanti. Epicuro era convinto che gli atomi fossero indivisibili. Però dal tempo di Epicuro al nostro ne sono avvenute di cose, ne sono passati d’inverni. La scissione dell’atomo è ormai un dato acquisito e praticato normalmente, anche in politica. È un modello, non so se sia europeo, che a sinistra ha molti adepti.
C’è una parola magica ripetuta come un mantra in ogni dove. Questa parola è Europa. Tutti si stanno scoprendo europeisti. Ciò non toglie di senso a questo termine?
Credo che questo termine non abbiamo mai avuto alcun significato. Perché eventualmente anche l’equivalente avrebbe ragione di essere cianciato: africanismo, asiatismo, sudamericanismo, australianismo. L’australianismo, anche quello è un continente, per giunta abbastanza unitario. Possiamo andare vedere quali sono i padri fondatori spirituali dell’australianismo. Li mettiamo in fila e poi facciamo la somma di queste parole prive di significato, che certe volte spingono all’ironia, altre volte fanno sdegno, perché è un modo di coprire una realtà di cui non si vuol parlare in modo chiaro che è quella che conosciamo, per cui una serie di paesi sono messi in riga, la pandemia ha reso tutti uguali, la Merkel che nel 2020 diceva passeranno sul mio cadavere ma non ci saranno mai gli eurobond, per cui si beccò una replica durissima dallo Spiegel, adesso siccome serve anche alla Germania che i soldi corrano per salvare il salvabile dalla pandemia, improvvisamente ha un cuore tenero. Se questo è l’europeismo, direi che è un po’ triste.
Per concludere. Ricorrendo ancora alla metafora, cosa ne pensa del Conte “federatore”?
Non conosco la persona, se non dai giornali e dalla cronaca televisiva, quindi non mi permetto di emettere giudizi. Mi sembra che nel tradimento di cui è stato oggetto, la trappola che gli è stata tesa, dimettiti tanto ti confermiamo e invece appena Fico ha detto: non ho trovato i numeri, l’hanno giubilato, hanno scoperto che c’era l’uomo dell’alto profilo. Un uomo che è stato tratto in trappola e fatto fuori, aveva due strade: o quella, come Cincinnato, di tornare alla vita privata o all’avvocatura, o invece, di cavare un frutto politico dei due e passa anni che ha fatto. Il frutto politico meno errato e più ragionevole dal suo punto di vista non poteva essere che quello di provare a tenere in piedi un’alleanza di cui è stato, bene o male, l’artefice e il beneficiario: quella dei due partiti che hanno governato fino a che Renzi non ha pugnalato alle spalle. Federare? Francamente non lo so come farà a federare Orlando con Di Battista, per non fare nomi. Non sarà facile. D’altra parte quanto durerà questa cosa si vedrà abbastanza presto, perché credo che l’abbiano capito tutti, Draghi è a Palazzo Chigi fino a che non lo eleggeranno Presidente della Repubblica, all’inizio del 2022. Dopo di che si andrà a votare e i partiti giocheranno ognuno per sé.
© Riproduzione riservata