E venne il giorno in cui parlò Draghi. «Preciso, sintetico, quasi perentorio, un drago…» racconta piacevolmente colpita Emanuela Rossini, vicecapogruppo del gruppo delle Minoranze linguistiche. «È alle prese con una realtà che non ha precedenti nella storia di questo Paese, forse solo De Gasperi prima di lui» chiosa il socialista Riccardo Nencini. A De Gasperi, pensa anche Bruno Tabacci che racconta come «chi non abbia mai conosciuto Draghi prima d’ora si possa sentire anche in soggezione una volta che ce l’ha davanti, per determinazione e lucidità».

Venne il giorno in cui parlò Draghi e le delegazioni hanno potuto prendere appunti. Le carte del mazzo cominciano a scoprirsi. Non con i nomi dei ministri ma con un programma in 8 punti che il presidente incaricato ha spiegato uno dopo l’altro ai suoi interlocutori. Li tiene su un bloc notes, appunti scritti a mano. Un programma ancora per titoli ma con una chiara vocazione europeista, atlantista e che mette ambiente, scuola, lavoro, imprese e riforme al primo posto di una lista non lunga ma per la cui realizzazione non può bastare un anno di legislatura. Draghi comincia il lavoro, propone un proprio schema in otto punti e lo fa pensando ad un arco temporale che arriva al 2023.

Le delegazioni escono dalle consultazioni con appunti ordinati. Come primo punto Draghi ha voluto delimitare il perimetro dell’azione del suo governo che sarà «europeista e con un ancoraggio fortemente atlantista». Più Europa, insomma, sviluppando il nuovo corso di cui il Recovery fund, la decisione storica di fare debito comune per affrontare la pandemia, è stato il primo rivoluzionario passo. Nella direzione di una “sovranità europea condivisa” occorre quindi guardare lavorando ad una difesa e ad una politica estera comune e questo aiuterà a gestire altri dossier come quelli legati all’immigrazione. Ma, spostando l’asse sul lavoro, anche ad una politica fiscale condivisa, unica soluzione contro il dumping e la delocalizzazione delle imprese dai paesi con più fisco a quelli con meno fisco. Musica per le orecchie di Emma Bonino il cui nome non a caso gira in molte liste del totoministri. E una grande emozione per Tabacci: «De Gasperi ne fece una malattia quando nel ‘52 la Francia face fallire la Ced, la comunità europea di Difesa… e oggi Draghi ci riporta lì».

Al secondo punto il presidente incaricato mette l’ambiente perché «l’emergenza ambientale è ancora precedente a quella pandemica e sarà trasversale a molti dossier che dovremo trattare». Il Green e la transizione ecologica sono il cuore del Recovery fund europeo e lo saranno nel Piano italiano di ripartenza e resilienza europea (che sarà da riscrivere in molte sue parti).

Al terzo punto ci sono i vaccini, la vera urgenza nazionale ed europea. Al di là dell’approvvigionamento delle dosi, Draghi ha evidenziato un problema nella logistica e il modello di riferimento sarebbe soprattutto “quello inglese”, con una somministrazione capillare sul territorio.

Al quarto punto c’è l’emergenza economica, legata soprattutto al lavoro. L’ex presidente della Bce teme «una ripresa lenta che produrrà molti disoccupati». Indispensabile quindi «tutelare i lavoratori più deboli e che perderà il posto». Anche le imprese usciranno indebitate dalla pandemia.

È il quinto punto dello schema Draghi: un piano industriale di sviluppo, di cui si parla da anni ma che nessun governo ha mai avuto il tempo e le risorse per affrontarlo, che prenda atto dell’esistenza di interi settori non più competitivi, aiuti la transizione ma anche la chiusura di aziende decotte. Legato a questo, ha avvisato Draghi, c’è un tema di “sofferenze bancarie”.

Al sesto punto c’è la scuola, i ragazzi hanno perso troppe ore e questo è un handicap troppo forte per la loro formazione. L’idea è di mettere mano al calendario scolastico (arrivare ad esempio a fine giugno e ricominciare i primi di settembre ) e provvedere da subito alla copertura delle cattedre tramite «scorrimenti più veloci delle graduatorie». C’è bisogno di posti di lavoro e l’apertura dei cantieri per le grandi opere pubbliche («cantierare subito quello che possiamo e spendere i soldi già stanziati a cominciare dai fondi europei») è senza dubbio il modo più veloce (punto 7). E questa è musica per i renziani che da oltre un anno chiedono di far partire i cantieri e hanno pure presentato un disegno di legge che il Conte 2 ha trasformato in una legge sulle semplificazioni che però non ha dato frutti.

Al punto 8 le tre riforme che sono il presupposto del Recovery fund: pubblica amministrazione, fisco e giustizia civile. «Noi abbiano ricordato che quella penale è altrettanto urgente» ha precisato Riccardo Magi di + Europa. Ma quella penale è molto divisiva. Quella civile no e pesa per oltre un punto di pil sulla nostra competitività. Negli appunti delle delegazioni sono spariti i temi bandiera, dal reddito di cittadinanza al Mes, dalla prescrizione a Quota 100. Non c’è l’immigrazione e tanto meno la flat tax, tutte le bandierine che i partiti hanno agitato in questi giorni di crisi e appena saputo il nome di Draghi. Un avviso preventivo di cui certo l’ex presidente della Bce, «il più politico dei tecnici alle prese con la formazione di un governo» (cit. Maurizio Lupi), ha fatto tesoro anche se non ne aveva bisogno. Non ci sono le bandiere ma ci sono i dossier aperti e da affrontare. E questo è quello che conta.

Si racconta un Draghi affabile, all’ingresso di ogni delegazione si alza in piedi, va incontro, offre il gomito e dà il benvenuto. E anche sorridente. Colpito quando il senatore Gaetano Quagliariello gli consegna il libro Un’altra libertà scritto a quattro mani con il cardinale Ruini che ha chiesto al senatore di portarne una copia autografata a Draghi. Assolutamente divertito nel faccia a faccia con Vittorio Sgarbi. Dopo l’incidente col telefonino (l’altra volta gli era rimasto acceso e Draghi lo fulminò: «Ma che fa registra?») questa volta il critico d’arte si è presentato con un telefono nuovo che «non può fare certi scherzi» regalato dalla sorella esperta di device elettronici. Sgarbi, prendendo spunto dall’affresco in sala della Lupa che riporta la scritta «a Roma ci siano e ci resteremo», ha pregato il premier incaricato di «non scegliere nessuno del precedente depressivo governo».

Ha chiesto anche, a proposito di vaccini, «meno petali e meno Arcuri» e, a proposito di turismo e cultura, ha invocato una promessa che sa di assoluto e di necessario: «Elimina l’assurdo, Presidente. Ne abbiano avuto fin troppo in questo anno, chiusure, divieti, cinema, teatri e città che stanno morendo». Sgarbi è convinto di aver letto la risposta oltre la mascherina: «Ha capito e mi ha sorriso».

Il secondo giro di consultazioni va avanti oggi e domani con le parti sociali, sindacati e associazioni di categoria. Non c’è ancora un timing per la salita al Colle. Potrebbe essere giovedì mattina e nel pomeriggio il giuramento. Anche venerdì può essere la giornata buona. Se vuol fare “un favore” a Sgarbi rinvia tutto a lunedì. Il critico d’arte deve andare a vedere un ciclo di dipinti. E poi si deve aspettare il verdetto di Rousseau. I 5 Stelle hanno deciso di interpellare la loro base via piattaforma. Chissà come sarà formulato il quesito.

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Giornalista originaria di Firenze laureata in letteratura italiana con 110 e lode. Vent'anni a Repubblica, nove a L'Unità.