La crisi dei partiti spiegata attraverso i manifesti

Assieme ai comizi, il manifesto è stato il principale strumento della comunicazione e della propaganda politica nell’Italia repubblicana. I partiti ne hanno considerato sempre il valore, la forza comunicativa racchiusa in uno slogan e in una immagine studiati appositamente per colpire al cuore militanti ed elettori. Questa funzione simbolica è risultata tanto più efficace quanto più la politica si rinchiudeva spesso in linguaggi esoterici, gergali, allusivi, francamente incomprensibili a chi non faceva parte della ristretta cerchia dei politici di professione (si pensi solo alle “convergenze parallele” di Aldo Moro).

Attraverso i manifesti, il loro contenuto e la loro evoluzione anche stilistica, è possibile perciò ricostruire la storia non solo dell’Italia politica, ma di tutta la società italiana del dopoguerra: dalla fondazione della Repubblica al boom economico, dagli “anni di piombo” fino a Mani Pulite e oltre. È con questo intento che è stato costruito un affascinante libro per immagini appena edito da Carocci e di cui è autore Edoardo Novelli, docente di Comunicazione politica a Roma III: I manifesti politici. Storie e immagini dell’Italia repubblicana (pagine 263, euro 24). Per prima cosa, Novelli ha selezionato più di cento manifesti politici, non necessariamente i più importanti o i più diffusi. La scelta è avvenuta in base al criterio, indubbiamente personale, della significatività, in modo però da coprire le varie aree politiche e i vari stili espressivi. Poi ha diviso il materiale cronologicamente per decenni, dagli anni Quaranta del secolo scorso agli anni Duemila, alternando la riproduzione di ogni manifesto (è un libro da gustare anche visivamente) con una pagina di descrizione e di acute osservazioni sia storiche sia estetiche.

In generale, può dirsi che la stagione dei manifesti politici ha avuto due fasi, suppergiù corrispondenti alle cosiddette Prima e Seconda Repubblica. Fino poi a scemare con l’avvento dell’era digitale, che per certi versi può considerarsi una continuazione con altri mezzi, e maggiore intensità, di quel “parlare per immagini” che è stato proprio dei manifesti. Nella prima fase, il predominio è stato quello del classico foglio 70X100, che è stato affisso sui muri d’Italia soprattutto in occasione degli scontri elettorali, a cominciare da quelli del referendum per la Repubblica del ‘46 e delle elezioni politiche del ‘48. Le quali ultime, per la virulenza dello scontro fra comunisti e anticomunisti, rappresentano forse il momento più alto e intenso di questa storia (classico resta il manifesto democristiano che afferma perentorio che “nel segreto delle urne Stalin non ti vede ma Dio sì”).

Inutile dire che fra i militanti delle diverse parti sui manifesti si è scatenata una vera e propria concorrenza, fatta anche di colpi bassi: i manifesti degli uni venivano, ad esempio, spesso strappati o ricoperti di notte da quelli degli altri. Man mano che avanzano gli anni Ottanta e poi soprattutto negli anni Novanta, il manifesto politico diventa spesso un enorme cartello pubblicitario, il più delle volte con il volto sorridente dei leader come testimonial. È il portato dell’avvento del maggioritario e della personalizzazione della politica e dei partiti. Nonché di un certo populismo di fondo (il “meno tasse per tutti” o il “milione di posti di lavoro” di Silvio Berlusconi da questo punto di vista ha fatto scuola). Molto vitale è stato anche il decennio dei Settanta, con l’esplodere di sigle extraparlamentari e con l’avanzare invece, a livello politico più istituzionale, delle battaglie per i diritti civili, sfociati nelle due campagne referendarie per il divorzio e l’aborto.

Man mano avanzano anche i temi ambientalisti, fra nucleare e caccia, e si fa strada persino l’animalismo, con una Marina Ripa di Meana che nel 1996 posa completamente nuda mostrando una folta peluria nelle parti intime sovrastata dalla scritta: “L’unica pelliccia che non mi vergogno d’indossare” (oggi forse una immagine del genere sarebbe impossibile, o sarebbe accusata di essere sessista). Gli ultimi manifesti politici riprodotti sono quelli per la campagna elettorale del 2018 e fanno davvero impressione per l’elementarità del messaggio e per l’impoverimento culturale che testimoniano. Si può dire che “la fine del manifesto politico” di cui parla Novelli è la fine, o almeno la profonda crisi, dei partiti politici. È la crisi in cui siamo sprofondati del sistema politico italiano.