Il dibattito su giustizia, eutanasia e cannabis
La crisi dei partiti e il valore del referendum
Occorre riconoscere che Matteo Renzi ha visto giusto ancora una volta. Quando, all’epoca della crisi del Governo Conte 2, gli veniva contestata la irrilevanza delle percentuali di preferenze, che nei sondaggi venivano attribuiti ad Italia Viva, rispondeva sottolineando l’irrilevanza di quei sondaggi, in quanto nei mesi successivi il quadro politico sarebbe mutato profondamente. Il che sta puntualmente avvenendo.
Da un lato, vanno registrati il disfacimento del Movimento 5Stelle, e cioè di uno dei perni fondamentali su cui si reggeva la prospettiva di alleanza di centro sinistra, e il fatto che l’altro protagonista di tale alleanza, e cioè il Partito Democratico, continua, con “l’impunitismo” evocato da Enrico Letta, a mantenersi ciononostante ancorato alla visione rozza e manichea della società, che ha animato il grillismo delle origini. Dall’altro, vi è la deflagrazione dell’alleanza di centrodestra, che all’epoca del Conte 2 sembrava saldamente coesa intorno alla leadership di Matteo Salvini e che oggi vede non solo una competizione divenuta usurante con Giorgia Meloni, ma anche, e soprattutto, l’emersione di una sostanziale inadeguatezza della classe dirigente dei maggiori partiti.
Gli scandali di questi giorni, da quello di Luca Morisi a quello di Carlo Fidanza, si abbattono con la forza di un tornado sull’immagine di un centrodestra che aspira al governo del paese. Queste considerazioni portano, allora, a ritenere le consultazioni amministrative per il rinnovo dei sindaci, più che un punto di arrivo per la definizione di nuovi equilibri, solo un passaggio intermedio di una trasformazione del quadro politico molto più profonda di quanto si possa immaginare. In questo scenario, i referendum che sono stati promossi, non solo quelli sulla giustizia, ma anche quelli sull’eutanasia e sulla cannabis, giocheranno un ruolo, che non sarà affatto limitato alle specifiche materie oggetto di consultazione popolare, in quanto contribuiranno in modo decisivo a definire gli schieramenti che comporranno il nuovo quadro politico. Il Governo Draghi, con una politica imperniata su fatti concreti, lontana dall’uso della propaganda e dal ricorso spregiudicato alla mistificazione, sta svuotando di contenuto partiti che sempre di più ne avevano fatto la principale arma di competizione.
Sta dimostrando, in definitiva, che per “domare” i social sono “sufficienti” i fatti. Bisogna anche aggiungere che la pandemia, con la profonda crisi sociale, esistenziale ed economica che si è portata dietro, ha certamente aiutato a far prevalere, nel sentire comune, il reale sul virtuale e sulle astrattezze. Questo significa che l’elettorato che andrà a votare per i referendum è un elettorato ormai in larga parte uscito dalla sbornia dei social e delle mistificazioni offerte dalla rete. Per di più, vicende come quella del DJ Fabo, per quello che riguarda il referendum sull’eutanasia, o quella di Palamara, per quello che riguarda i referendum sulla giustizia, hanno reso evidente che si tratta di materie, che non possono essere guardate solo attraverso gli occhiali di una ideologia astratta e chiusa in sé stessa, in quanto destinate ad incidere sulla carne viva della quotidiana esistenza di ciascuno. L’asservimento agli interessi di parte con cui molti leader di partito hanno preso posizione sulle storie di Morisi, da un lato, e di Lucano (condannato ad una pena assurda per la sua entità), dall’altro, ha, a sua volta, reso evidente che troppo spesso ormai non è l’azione politica ad essere subordinata ai valori, ma tutto il contrario: i valori sono meramente strumentali a supportare l’azione politica, che così diventa mera espressione di potere e nient’altro.
Ecco, allora, che il dibattito sui referendum, siccome destinato a svilupparsi in un momento di massima decomposizione dei partiti-struttura di potere, sarà una occasione irripetibile per una ridefinizione del quadro politico intorno a valori reali, non subordinati a strutture di potere fini a sé stesse. La litania con cui si è cercato di contrastare le iniziative referendarie, affermando che le materie trattate avrebbero dovuto essere affrontate in Parlamento, è stata ormai stoppata dal successo decretato dal numero delle firme raccolte. È un numero tale che sarà impossibile, se non addirittura suicida, cercare, come troppe volte è avvenuto in passato, di silenziare l’argomento nei mesi che verranno. Non sarà, perciò, possibile sottrarsi al confronto. D’altro canto, tanto lo strumento referendario in sé, quanto i temi proposti che, come si suole dire, sono divisivi, non consentiranno compromessi. Su ciascuno degli argomenti si dovrà essere per il sì o per il no, essendo consapevoli che con l’attuale legislazione anche l’astensione è un aiuto al no. Non vi sarà uno spazio, se non meramente residuale, per le ambiguità. Di conseguenza, le inevitabili spaccature che i temi referendari certamente determineranno in molti dei partiti attuali, specie quelli con una base elettorale più ampia, sono destinate a lasciare una traccia profonda.
Potrebbe anche trattarsi di spaccature sanabili dal tempo e dal collante che l’esercizio del potere assicura. Ma, in questo caso, vi è un elemento ulteriore, che non consentirà alle divisioni di ricomporsi agevolmente. Poco dopo la celebrazione dei referendum i cittadini saranno chiamati a votare per le elezioni politiche. Ed è inevitabile che il patrimonio di consensi conseguito in occasione dei referendum si riverserà, in larga misura, sull’esito delle elezioni politiche. Ecco perché sarà intorno ai temi referendari che si costruirà, nei prossimi mesi, la futura geografia della politica italiana.
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