Il silenzio in tv
Silenzio sui referendum, chi ha paura dei quesiti?
Il referendum, istituto dato per morto, sembra, al contrario, vivo e vegeto: sono una decina i quesiti per i quali è in corso la raccolta di firme, o sono evocati. I sei referendum per una giustizia più giusta, promossi da Partito Radicale e Lega. Il referendum in materia di eutanasia, promosso dall’associazione Luca Coscioni; il referendum in materia di droghe leggere, sempre promosso dall’associazione Coscioni; un paio di referendum contro la caccia, promossi da varie associazioni ecologiste e ambientaliste; un referendum contro il reddito di cittadinanza, evocato dall’Italia Viva di Matteo Renzi, che pare diventerà una “semplice” petizione.
Ai banchetti che si riescono ad allestire, sempre code di cittadini che vogliono firmare; e ora la possibilità di sottoscrivere il quesito referendario on line con lo Spid, il sistema pubblico di identità digitale. Posto che è augurabile il pieno successo della raccolta di firme per tutti i referendum, e non si deve mai aver timore che gli elettori si pronuncino su questioni e tematiche che li riguardano direttamente, la riflessione è questa: Renzi vagheggia un possibile referendum, e sui mezzi di comunicazione un diluvio di “giusto”, “sbagliato”, “opportuno”, “necessario”, “buono”, “cattivo”. Anche sui due referendum promossi dall’associazione Luca Coscioni, a dire il vero più sulla carta stampata che nei mezzi audio-video, un minimo di dibattito (ma davvero minimo), si è acceso. Non quello che si sarebbe dovuto e potuto, ma non sono mancate polemiche e un minimo (ma davvero minimo) di informazione e confronto.
Per quanto riguarda i sei referendum sulla giustizia più giusta, neppure questo. All’inizio della campagna in parecchi si sono preoccupati di dirci che erano cose sbagliate, pericolose; guardandosi bene dallo spiegare in cosa consistono, queste cose sbagliate, pericolose. Poi da giorni, il più rigoroso silenzio. Sono, dal punto di vista informativo, referendum brutti anatroccoli. Questa differenza di trattamento, come si spiega? Si può obiettare che anche i referendum sulla caccia sono “clandestini”; ma in questo caso si può attribuire questa “clandestinità” al fatto che non dispongono di una forza contrattuale, che sono pochi i mobilitati, e pochissimi mezzi e risorse. Per i referendum sulla giustizia, no: con il Partito Radicale ci sono la Lega e altri, che “pesano”. Dunque, perché questo silenzio? Credo che la spiegazione più logica sia che su questi referendum è scattata una sorta di fatwa. L’ha emessa il sindacato della magistratura, e alcuni esponenti di punta della medesima: vedono come fumo negli occhi che si possano intaccare le tante incrostazioni corporative della magistratura. Forze politiche, poli economici e finanziari a cui fanno riferimento un po’ tutti i mezzi di comunicazione italiani, sono da sempre molto “sensibili” e timorosi quando si tratta dei “desiderata” di questa potente corporazione. E si comportano di conseguenza.
Ancora qualche riflessione. Come previsto e prevedibile, gli “amici” del referendum (dagli “amici” ci guardi il padreterno, dice il proverbio), già si mobilitano per sostenere che ora, con la possibilità di firmare telematicamente, la soglia delle 500mila firme necessarie, va perlomeno innalzata: occorre scongiurare che un qualsiasi saltapicchio con minimo di seguito possa inchiodare il paese a richieste referendarie bislacche e poco o nulla meditate. Occorre, dicono, scongiurarne l’abuso; preoccupazione apparentemente saggia, che fa tuttavia sospettare che in realtà più che l’abuso si voglia scoraggiarne l’uso. E si aggiunge: mettere in moto la macchina referendaria comporta dei costi. Se si vuole innalzare la soglia delle 500mila firme, si faccia pure. La si porti a 700mila, a un milione, si tracci una ragionevole proporzione con il numero delle persone che hanno diritto di voto: non c’è problema.
Quanto all’abuso che si paventa, è un falso problema. Intanto i quesiti sono sottoposti, prima di indire il referendum, al vaglio della Corte Costituzionale: l’esperienza dimostra che non è di manica larga. Poi il Parlamento ha sempre la possibilità di varare leggi che rendano inutile il referendum. Infine sarebbe sufficiente accorpare il (o i) referendum alle elezioni, politiche o amministrative che siano, come accade in altri paesi nei quali i referendum non sono il “trauma” che si paventa ogni volta che sono indetti in Italia. Infine, è curioso questo questionare di “uso” e “abuso”. Il referendum è uno strumento costituzionale. I padri costituenti non l’hanno inteso come alternativa al Parlamento; al contrario è la seconda “scheda” di cui dispone l’elettore. Uno strumento pienamente democratico, e nessuno credo si sogni di sostenere che c’è un “abuso” di Costituzione o democrazia.
Sono invece necessarie, indispensabili due “piccole” riforme all’istituto referendario:
a) Abolire il quorum. Contano solo i SI o i NO. Chi non si reca al seggio per votare non può essere accorpato ai non abrogazionisti (sarebbe sbagliato anche l’opposto: se venissero accorpati agli abrogazionisti). Gli “assenti” semplicemente lasciano ai “presenti” la responsabilità di decidere.
b) L’informazione: almeno il servizio pubblico radio-televisivo, dal momento che incassa un canone da tutti i cittadini, ha il dovere di assicurare trasmissioni di “conoscenza”: trasmissioni di confronto e dibattito tra gli esponenti del SÌ e del NO, ma anche trasmissioni di “semplice” informazione: che servano a spiegare “tecnicamente” cosa e perché si chiede di abrogare questa o quella legge. Un cittadino consapevole e informato deciderà così in scienza e coscienza come votare o (anche) non votare. Come ci ricorda Luigi Einaudi: “Conoscere per deliberare”. Ma, in ultima analisi, probabilmente è proprio questo che si vuole: che il cittadino non sia tale, ma sia suddito.
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