La difficile strada delle riforme
La firma per il referendum? Un atto d’amore per la giustizia
La giustizia penale, al pari di quella civile, ha urgente bisogno di riforme: una necessità ribadita anche ieri, a Napoli, nel corso della conferenza stampa durante la quale un nutrito gruppo di esponenti politici, docenti universitari, avvocati e rappresentanti dell’associazionismo hanno dato il via a una raccolta di firme a sostegno del referendum sulla giustizia promosso dai Radicali.
La durata eccessiva dei processi è una vergogna che penalizza i cittadini ed è stata più volte condannata dalla Corte europea dei diritti dell’uomo. Basti pensare che, a Napoli, nel 2019 il giudizio penale d’appello è durato in media 2.031 giorni. Occorre assolutamente porvi rimedio con un’ampia depenalizzazione, digitalizzando le procedure, fissando delle priorità, facendo rientrare in ruolo la pletora di magistrati distaccati e assumendone altri. Poi c’è lo scandalo della politicizzazione e dell’uso politico della giustizia. Le rivelazioni di Luca Palamara e tutto ciò che è emerso e quotidianamente emerge hanno evidenziato una situazione non più sostenibile. Sul tema ha colpito il silenzio del Partito democratico, delle principali testate e di molti talk show. Collusioni, connivenze, complicità? Sì. Il “Sistema” ha reagito col catenaccio del silenzio e se non ci fossero stati Piero Sansonetti, Alessandro Sallusti, Nicola Porro e pochi altri, tutto sarebbe passato in cavalleria. La riforma Cartabia, frutto del negoziato con Giuseppe Conte e Alfondo Bonafede, è un primo passo importante, ma insufficiente.
Per curare la cancrena servono riforme radicali. Che tuttavia l’attuale quadro politico non consente di realizzare per via parlamentare. Negli ultimi trent’anni la magistratura è diventata una corporazione. Da “ordine”, come è definita dalla Costituzione, è diventata un “potere” pregiudizialmente in conflitto con gli altri poteri indicati nella Carta. Una distorsione che ha alterato l’equilibrio della Costituzione e alla quale ha fatto seguito la degenerazione del correntismo, ossia la politicizzazione della magistratura attraverso le “correnti”, che ha determinato una sorta di “partitocrazia giudiziaria”, la lottizzazione correntizia delle decisioni e il controllo assoluto del Csm dal quale dipendono nomine, carriere e sanzioni. Un potere assoluto delle correnti su tutto il corpo giudiziario. Un potere che dispone di alleanze politiche e mediatiche, in un rapporto melmoso in cui la trattativa tra “correnti” e i partiti di riferimento avviene su nomine, leggi, indagini “a orologeria” e/o strumentali ma anche su “cacce ostinate”, “distrazioni”, omissioni e vere e proprie persecuzioni.
Esagero? Basta leggere l’intervista di Sallusti a Palamara (che di questo sistema è stato il dominus) per capire che c’è molto di più. Perché nomine carriere e sanzioni sono un deterrente anche nei confronti del versante giudicante che scrive le sentenze e che, sebbene molto più numeroso e determinante ai fini di giustizia, è sotto ordinato rispetto al potere correntizio. A questo punto, con un Pd già giustizialista di suo e oggi succube di Marco Travaglio e Piercamillo Davigo che dettano la linea al Movimento 5 Stelle, è difficile che si possa attuare una riforma della giustizia degna di questo nome per via parlamentare. Di qui la necessità di attivare i referendum. E di farne l’occasione per una grande mobilitazione democratica e riformista. Non contro i giudici ma, al contrario, in difesa del loro ruolo fondamentale della loro autonomia e indipendenza oggi compromessi da intese di potere e collusioni con la politica.
I quesiti referendari sono sei e tutti hanno un rilievo assoluto. Si va dalla responsabilità civile dei magistrati (che un referendum di oltre trent’anni fa introdusse e il Parlamento dell’epoca, sbagliando, edulcorò annullandola) alla separazione delle carriere tra magistrati requirenti e giudicanti per garantire la terzietà del giudice e un giusto processo, senza dimenticare la custodia cautelare, spessissimo comminata in modo anomalo e illegittimo, e l’abolizione della legge Severino, la riforma del Csm e la riammissione dei componenti laici nella valutazione professionale dei magistrati. Se con il decreto Cartabia si interrompe la violazione sistemica dello Stato di diritto, con i referendum si potrà imprimere una svolta radicale per una giustizia giusta e il rientro nella legalità costituzionale.
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