Che la giustizia debba essere riformata e che il paese abbia bisogno di un sistema giudiziario efficiente ce lo dice l’Europa. «Se non riformate addio ai fondi per il Piano nazionale di ripresa e resilienza», tuona Bruxelles. Quindi, volenti o nolenti, anche a livello internazionale si sono accorti che qualcosa non va nel sistema giudiziario italiano.

Napoli è sicuramente e tristemente il simbolo delle storture e delle inefficienze di questo sistema. Lo è per l’inefficienza del settore civile: cause che durano anni, recupero crediti pressoché impossibile, tutela della proprietà quasi nulla, uffici giudiziari che cadono a pezzi, personale insufficiente. Il penale invece è a dir poco imbarazzante tra sentenze “ciclostilate” (è di qualche settimana fa la sentenza trovata in un fascicolo pronta per essere compilata) e intere zone della città in mano alla camorra. In un Paese in cui i gup rinviano a giudizio nel 97% dei casi, la Procura partenopea non brilla di certo: nel 2020, a Napoli, è stato registrato il record nazionale di persone ingiustamente arrestate, addirittura 101. Senza dimenticare i 52mila procedimenti dinanzi al Tribunale di Sorveglianza chiamato a emettere provvedimenti che potrebbe ben adottare un giudice di merito.

Per non parlare poi, ampliando il raggio, dei continui scandali che in questi mesi (a partire dal caso Palamara) hanno aperto uno squarcio sulla magistratura politicizzata e sul “sistema” della giustizia in Italia: sentenze politiche, carriere pilotate, scandali costruiti ad arte, depistaggi e corruzione solo per citare alcuni dei mali endemici e penetranti del sistema giudiziario del nostro paese. Nessuno ci leva dalla mente che tutto questo ebbe inizio nel 1993, quando il circuito mediatico giudiziario abbatté la prima Repubblica cancellando un’intera classe politica, con i risultati che oggi sono sotto gli occhi di tutti, e una certa magistratura prese il sopravvento.

Noi di Riformismoggi, con l’associazione Nomos Movimento Forense, abbiamo deciso di aderire convintamente al referendum proposto dai Radicali e dalla Lega perché crediamo che sia necessario fare tutto quanto sia possibile per stimolare le riforme e che il ministro Marta Cartabia e il governo Draghi siano i soggetti adatti ad attuarle una volta per tutte. I sei quesiti: responsabilità civile dei giudici; separazione delle carriere dei magistrati sulla base della distinzione tra giudicanti e inquirenti; custodia cautelare; abrogazione del testo unico in materia di incandidabilità e di divieto di ricoprire cariche elettive e di governo (legge Severino); abolizione della raccolta firme della lista magistrati; voto per i membri non togati dei consigli giudiziari. Sono quesiti a cui chi è socialista, riformista e garantista non può non aderire e che non può non sostenere affinché ci sia una giustizia giusta.

I riformisti hanno il compito di bloccare sul nascere la sensazione, ormai diffusa tra i cittadini, che la magistratura e la giustizia da essa amministrata siano come un potere contro e non a favore dei diritti di tutti. Così come nel 1987 i socialisti, insieme con i radicali, promossero il referendum sulla responsabilità civile dei magistrati, rimasto lettera morta a causa della successiva riforma del processo penale dell’allora ministro Giuliano Vassalli che limitò i risarcimenti a carico dello Stato, oggi noi dobbiamo contribuire in maniera determinante e con il massimo impegno, coinvolgendo tutte le forze di ispirazione laica cattolica e socialista, alla buona riuscita dell’istituto referendario e alla realizzazione delle riforme per il Paese, per i cittadini e per la giustizia stessa. È l’Europa che ce lo chiede, è il Paese stesso che ne ha bisogno per essere al passo con i tempi e porre fine allo spettacolo indecoroso di questi ultimi mesi.