Le sei proposte di referendum del Partito radicale, di Salvini e della Lega su vari temi afferenti in modo diretto o indiretto all’ordinamento giudiziario suggeriscono alcune riflessioni di carattere generale sull’uso e i limiti dello strumento adoperato e sulle finalità dell’iniziativa.

Il referendum abrogativo è uno strumento di esercizio della sovranità popolare originariamente previsto dal legislatore costituente per consentire ai cittadini di espungere dall’ordinamento una manifestazione di volontà legislativa delle Camere non in sintonia con quella prevalente all’interno della società. Successivamente l’istituto fu utilizzato non per abrogare un testo normativo, ma per sopprimere una o più formulazioni linguistiche (singole parole o frasi) in esso esistenti allo scopo di alterare in parte il suo contenuto normativo (referendum manipolativo). L’esempio più rilevante sotto il profilo istituzionale e politico di questo nuovo referendum è stato il referendum abrogativo della legge elettorale del Senato, approvato dai cittadini nel 1993: referendum che, sopprimendo come è noto il suo tradizionale impianto proporzionalistico, ha introdotto il sistema elettorale maggioritario a un solo turno e favorito quella auspicata semplificazione del sistema dei partiti che ha prodotto il passaggio dalla prima alla c.d. seconda Repubblica. Non si può tuttavia non riconoscere che il referendum abrogativo è, almeno in parte, uno strumento sostanzialmente inadatto e rozzo, se utilizzato non per sopprimere una legge, bensì per rimuoverne alcuni contenuti normativi dalla cui soppressione ne derivino altri.

La scelta delle nuove norme è infatti condizionata dal testo scritto sul quale si interviene, che di solito consente soltanto alcune limitate opzioni, non sempre corrispondenti in modo pieno agli stessi intenti dei promotori o comunque alle esigenze effettive della revisione normativa della materia. Le modifiche auspicate con lo strumento referendario, inoltre, specialmente se incidono su parti significative di un istituto o di un intero settore disciplinare, e a maggior ragione quando si tratta di un potere dello Stato, quale è la magistratura, richiedono il coordinamento con tutte le altre norme preesistenti, un attento bilanciamento delle esigenze sottostanti, l’adozione dei necessari interventi correttivi, la valutazione approfondita degli effetti positivi e negativi che ne possono scaturire, ecc. È evidente che a questo scopo, almeno normalmente, lo strumento più adatto per valutare e bilanciare queste diverse esigenze non è il referendum abrogativo, ma la legge ordinaria delle Camere.

Queste osservazioni sono valide, in via di principio, anche nei confronti delle proposte di referendum sulla giustizia, che tendono a incidere sul sistema elettorale del Consiglio superiore della magistratura, sulla responsabilità diretta dei magistrati, sulla loro valutazione al fine della progressione in carriera, sulla distinzione tra le funzioni giudicanti e requirenti, sugli abusi della custodia cautelare e sulla abrogazione della legge Severino, che individua le cause di incandidabilità alle cariche parlamentari, governative, regionali e degli enti pubblici territoriali. Si tratta quindi di modifiche significative di disposizioni rilevanti che incidono sui diritti dei cittadini e sul libero esercizio dell’attività politica. Argomenti così complessi, tra loro coordinati, avrebbero bisogno di una ri-valutazione di tutta la materia e della conseguente adozione di una pluralità di ulteriori misure. È quindi facile il compito di quei magistrati, per fortuna non tutti, che, difendendo strenuamente il sistema vigente e le profonde distorsioni che lo caratterizzano, cercano di mettere in luce gli inconvenienti che potrebbero derivare dall’accoglimento delle proposte referendarie, favorendo l’insorgere tra i cittadini di perplessità e dubbi.

L’iniziativa referendaria, però, non esaurisce affatto la riforma dell’ordinamento giudiziario (che tra l’altro per essere veramente efficace ha bisogno anche di alcuni limitati ma importanti interventi sul testo della Costituzione, non consentito al referendum), il cui procedimento è d’altronde già avviato all’interno del Parlamento, ma ne indica soltanto alcuni contenuti ritenuti necessari. Il suo fine principale e più importante è però un altro: quello di coinvolgere nel processo di riforma l’intero corpo elettorale, detentore del potere sovrano, per rimuovere le resistenze esistenti sul piano politico e istituzionale all’adozione di misure efficaci che consentano il ripristino dei principi costituzionali di indipendenza del giudice e di subordinazione alla legge, dandone un’interpretazione più intensa e autentica rispetto a una prassi che da troppi anni ormai e in troppi casi se ne è drammaticamente allontanata. Si tratta quindi di una iniziativa di attuazione della Costituzione perseguita non con la legge ordinaria, che è monopolio delle forze politiche e che dipende nei suoi contenuti dai rispettivi interessi e rapporti di forza, ma con uno strumento di democrazia diretta, che attribuisce agli stessi cittadini il potere di decisione, non diversamente dal referendum di Segni e Barbera sulla legge elettorale del Senato del 1993.

Quest’ultimo tendeva a rafforzare la governabilità del sistema politico con l’introduzione di un bipartitismo che consentisse ai cittadini di scegliere il Governo e l’indirizzo politico; il primo tende ad assicurare sia l’effettività delle libertà garantite dalla Costituzione, svincolando il giudice dalla sua soggezione di fatto nei confronti del pubblico ministero e rafforzandone la responsabilità, sia il rispetto delle leggi approvate dal Parlamento: libertà e diritti in troppi casi violentati da giudici non imparziali, protetti dal regime di sostanziale impunità di cui godono, che costituisce la radice fondamentale di ogni degenerazione.

In definitiva il fine delle proposte referendarie sulla magistratura è quello di ripristinare l’effettività dello “Stato di diritto”, principio cardine del nostro ordinamento, mediante la mobilitazione più ampia possibile dell’opinione pubblica. È quindi importante che sulle iniziative referendarie si raggiunga il numero più elevato possibile di consensi, affinché fin d’ora le forze politiche e il Governo ne possano tenere conto nelle scelte che dovranno prendere, trovando in essi la forza politica necessaria per superare le resistenze a una effettiva riforma.