Il referendum
Separazione delle carriere e il terrore dei Pm dimezzati

Il quesito referendario sulla separazione delle carriere dei magistrati è il più “politico”, e non a caso è quello più avversato. Una quantità di motivi tecnici è adoperata dagli avversari per denunciarne l’inopportunità, l’inadeguatezza, la portata lesiva in pregiudizio dell’indipendenza e dell’autonomia della magistratura, le solite patacche invocate dall’eversione giudiziaria per rendersi impassibile di qualsiasi controllo costituzionale.
Ma nel profondo e oscuramente lavora contro quell’ipotesi di riforma una motivazione diversa: e cioè che separare le carriere di quei funzionari pubblici attenta non già al loro potere, come poco precisamente si dice, bensì alla “irriconoscibilità” del loro potere. Il potere, qualunque potere, è tanto più temibile quanto più indistinguibile, vago, fungibile è il profilo di chi lo esercita. Il potere è tanto più irreversibile, tanto meno revocabile, quanto esso è più “confuso”, quanto è meno – eccoci – “separabile” negli ambiti in cui opera, negli atti in cui si manifesta.
La magistratura televisiva di questi anni, la magistratura equestre del secolo scorso che istigava i suoi manipoli a resistere, resistere, resistere, quella e questa erano tanto qualificate personalmente, tanto “protagoniste” proprio perché operavano in faccia a un’opinione pubblica che non le percepiva affatto come portatrici di accusa: ma come “giustizia”. Una confusione che la separatezza del loro potere avrebbe impedito allora e impedirebbe oggi.
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