Nel sistema della giustizia penale la prescrizione è istituto non solo di grande complessità, ma contrassegnato da molte contraddizioni. Stupisce quindi che la materia sia divenuta oggetto di interventi e di scontro politico, posto che anche chi si occupa per professione di diritto e procedura penale si trova sovente in difficoltà nel ricostruire le infinite modifiche a cui la disciplina della prescrizione è stata sottoposta nel corso degli anni. Si ha l’impressione che talvolta chi ha fatto della prescrizione materia di scontro politico non sappia di cosa stia parlando.

La prima contraddizione è insita nella stessa natura dell’istituto, che dovrebbe riuscire a conciliare due contrastanti esigenze: da un lato la pretesa punitiva dello Stato, volta ad applicare la sanzione penale all’imputato colpevole e a rispondere alle aspettative di giustizia della vittima del reato e di sicurezza della collettività; dall’altro il c.d. diritto all’oblio dell’autore del reato, che rimarrebbe violato quando la pena interviene in un momento eccessivamente lontano. Il processo non sarebbe più “giusto”, perché l’imputato è presumibilmente persona diversa da chi anni addietro aveva commesso il reato e le aspettative di giustizia della vittima sono ormai deluse.

Anche la disciplina della prescrizione è irta contraddizioni. Sul terreno del diritto penale sostanziale il codice prevede che la prescrizione estingue il reato quando sia decorso un periodo di tempo corrispondente al massimo della pena stabilita dalla legge. Tali termini sono raddoppiati per una serie di reati di particolare gravità, mentre non vi sono termini di prescrizione per i reati puniti con l’ergastolo. Ebbene, questa disciplina è sostanzialmente vanificata dalla improcedibilità (o prescrizione c.d. processuale), che opera nel corso del processo, è connotata da termini molto più brevi definiti dalla legge n. 103 del 2017 e di fatto produce anch’essa l’estinzione del reato. Sulla disciplina del 2017 è appunto intervenuta la modifica proposta dall’ex ministro della giustizia Bonafede, inspiegabilmente approvata sia dalla Camera che dal Senato: la riforma dispone che, dopo la sentenza di assoluzione o di condanna in primo grado, non decorrono più termini di prescrizione, e quindi per l’imputato che abbia proposto appello e ricorso in cassazione il processo può paradossalmente continuare per anni ed anche per decenni.

Per superare questo assurdo prolungamento del processo a vita, il progetto di riforma della giustizia penale della ministra Marta Cartabia, destinato ad essere presentato in Parlamento ai primi di agosto, ritorna al sistema dei termini massimi di durata delle varie fasi processuali: due anni per l’appello e un anno per il ricorso in cassazione, prorogabili rispettivamente sino a tre anni e sino ad un anno e sei mesi per i reati più gravi e per quelli di particolare complessità. Per quanto riguarda la fase delle indagini preliminari il codice di procedura penale prevede il termine massimo di durata di diciotto mesi, prorogabile a due anni in caso di reati di particolare gravità e complessità, ma di fatto il pubblico ministero, malgrado siano previste forme di controllo del procuratore generale presso la corte di appello, può svolgere indagini anche oltre i termini massimi; in tal caso è prevista solo la sanzione processuale della inutilizzabilità degli atti nelle ulteriori fasi del procedimento. Sostanzialmente il pubblico ministero rimane quindi arbitro della durata delle indagini, e di fatto può insabbiare i reati destinandoli ad una successiva estinzione per prescrizione. Al riguardo il progetto di riforma Cartabia prevede che il giudice per le indagini preliminari possa sollecitare il pubblico ministero a presentare richiesta di rinvio a giudizio o di archiviazione.

È doveroso precisare che quanto sinora scritto sullo stato della riforma della giustizia penale è quanto mai incerto e provvisorio, e potrà essere modificato dalla stessa ministra Cartabia. Il disegno complessivo della riforma è stato oggetto di critiche, alcune pretestuose, da parte del Consiglio superiore della magistratura, del procuratore generale antimafia Cafiero De Raho e del procuratore della Repubblica di Catanzaro Nicola Gratteri, noto per altre vicende alle cronache; istituzioni e soggetti forse contrariati dalle varie misure destinate a realizzare il benemerito programma della ministra della giustizia di “fuga dal processo” e di “fuga dal carcere”, volto a diminuire lo smisurato carico di lavoro degli uffici giudiziari e ad alleggerire il micidiale sovraffollamento delle carceri. Vedremo nei prossimi giorni, dopo la presentazione in Parlamento, se vi è una maggioranza politica disponibile a sostenere il progetto di riforma Cartabia contro le resistenze e la passività della parte più conservatrice corporazione giudiziaria.