«La guerra tra pm è uno specchio dello scontro politico e i partiti hanno giocato con la magistratura la partita inconfessabile che il memoriale Palamara ha svelato». A sostenerlo è una persona che ha legato buona parte della sua vita politica nelle grandi battaglie Radicali per una giustizia giusta: Emma Bonino, leader storica dei Radicali, già ministra degli Esteri e Commissaria europea, oggi parlamentare di +Europa. Giustizia, referendum, green pass, elezioni amministrative… Una intervista a tutto campo. E senza peli sulla lingua. “Stile Bonino”, insomma.

Scrive Piero Sansonetti: “Ormai dentro la magistratura italiana, in particolare fra i pm, è scoppiata la guerra civile. Si combatte con tutti i mezzi, anche con armi non convenzionali”. E la politica che fa, sta a guardare?
La politica non è esente da responsabilità nella formazione di queste fazioni e poi, nella guerra, altro che stare a guardare. La guerra tra pm è uno specchio dello scontro politico e i partiti hanno giocato con la magistratura la partita inconfessabile che il memoriale Palamara ha svelato. Pannella, a dire il vero, ha denunciato da solo, per anni, l’uso politico della giustizia che, a tratti, è degenerato nella sua forma eguale e contraria, ovvero in strumentalizzazione della politica da parte dei magistrati. Spero che la ministra Cartabia si applichi con la stessa determinazione con cui ha elaborato i testi di riforma della giustizia civile e penale, a lavorare su separazione delle carriere, riforma del Csm, responsabilità civile dei magistrati, ovvero sui temi che grazie ai referendum la politica dovrà affrontare. Poi occorre sperare che la politica smetta di cercare complici fra i magistrati e che i magistrati smettano di scimmiottare i politici.

Quella per una giustizia giusta è da sempre un cavallo di battaglia dei Radicali. Oggi questa battaglia s’invera nei referendum. La butto giù brutalmente: perché a sinistra e nella stampa mainstream si preferisce “silenziare” il confronto e glissare sulle indicazioni politiche?
È davvero deprimente dover registrare come – a fronte della straordinaria risposta di partecipazione democratica alle raccolte di firme in corso – i primi commenti si focalizzino sull’innalzamento del numero di firme. Ma come? Centinaia di migliaia di persone chiedono (anzi richiedono perché questi stessi temi furono già oggetto di proposte referendarie) una radicale riforma istituzionale degli apparati di giustizia, che tutte le forze politiche ammettono essere indispensabile, e invece di iniziare a discutere del merito delle proposte in campo, il riflesso dei partiti è quello di cercare subito di limitare l’uso del referendum? E questo naturalmente non vale solo per la giustizia, ma anche per l’eutanasia e la cannabis: ma è un vecchio ritornello a cui siamo abituati. La sinistra ha un problema importante con la magistratura di sinistra (che è maggioritaria) che si traduce spesso in un atteggiamento di sudditanza. È un caso di eterogenesi dei fini: cercando di esercitare controllo e condizionamento si finisce per essere controllati e condizionati. La destra – per parte sua – impugna il garantismo non per adesione ideale ma come forma opportunistica di autodifesa. Il più illiberale e autoritario Ministro degli interni che l’Italia repubblicana abbia mai avuto, si reinventa paladino di una giustizia da lui stesso mortificata. In realtà la “giustizia giusta” per i cittadini non sembra interessare davvero i partiti politici, che appaiono piuttosto concentrati chi a conservare e chi a conquistare quel potere di condizionamento della giustizia, che si è rivelato un’arma tanto impropria quanto potente.

Sempre sui referendum. C’è chi li considera un reperto di archeologia politica e chi ne contesta l’abuso. Come al mettiamo?
La mettiamo che il “Palazzo”, in varie forme, di tutto vuole parlare, anche a vanvera, tranne che occuparsi del merito delle questioni che noi poniamo. Fa ridere che non abbiamo ancora neanche depositato le firme, la Cassazione non le ha verificate, e poi c’è la Corte costituzionale, eppure già sono tutti in armi al grido “sono troppi”, ovvero “sono troppo poche le firme”. Cose dell’altro mondo. Tutto pur di evitare i temi di merito che vengono proposti. Ed è veramente bizzarro. Non è che basta Paragone che dice, con Freccero, faccio un referendum sul Green Pass. Intanto bisogna raccogliere 500mila firme, che costano circa 500mila euro: la firma telematica si paga 0,90 da parte di chi la raccoglie. Non è partita ancora neanche la macchina che già tutti vogliono tirare il freno a mano.

Un tempo, in un’altra fase della vita del Paese e della politica, la raccolta di firme era anche un modo per esercitare un protagonismo dal basso…
Lo è anche oggi. Faccio un paio di esempi: il referendum sull’eutanasia. Sono state raccolte più di 500mila firme ai tavolini e le altre, quando è passata la legge, per via telematica. E allora? Non è più dal basso? È dall’alto? Ora parliamo del referendum sulla cannabis. Anche qui, la partecipazione è andata oltre le più rosee aspettative. La politica non vuole saperne, nonostante anche la Corte Costituzionale abbia chiesto di mettere ordine in questa materia. Siamo stati anche troppo pazienti. Adesso cominceranno a dire che è troppo facile o è troppo difficile. Noi li lasciamo ai loro turbamenti e intanto verifichiamo che c’è stata una straordinaria risposta popolare. Ciò vuol dire che la gente la pensa diversamente da dentro il palazzo. Da trenta anni, prima questi temi si ignorano, poi li insultano, poi cercano di guardare altrove e poi alla fine vinciamo e tutti sono padri e madri di queste iniziative. Invece di stralogare su queste cose fantasiose, perché non ci occupiamo del merito dei temi e discutiamo di questi? Fa ridere questa alzata di scudi, quando nessun referendum è ancora stato né depositato, né esaminato dalla Cassazione e tanto meno dalla Corte costituzionale. Devo dire che l’affluenza è stata abbastanza sorprendente. Sono abituata a tavolini in cui bisogna spiegare ai cittadini la questione in modo da attirarli e questa volta è completamente diverso. E questo è un bene per la democrazia tutta.

Altro tema caldo è quello dell’obbligo del Green Pass. C’è chi scomoda la Costituzione per denunciare la “dittatura vax”.
È surreale: Sabino Cassese ci ricorda, fin dalle prime settimane dell’emergenza pandemica, che l’art. 32 della Costituzione prevede espressamente la possibilità che la legge possa imporre a tutti un trattamento sanitario. Poi è chiaro che questa possibilità va usata con intelligenza e moderazione. Ma è quello che il governo sta facendo attraverso il Green Pass, che non è un obbligo vero e proprio ma uno strumento importante per riacquistare quelle libertà che non ci sono state sottratte da nessuna dittatura ma dalla pandemia.

Siamo ormai a ridosso di un appuntamento elettorale che riguarderà circa 20 milioni di italiani e investirà alcune delle più grandi città italiane, da Milano a Roma, da Torino a Bologna, da Napoli ad altre importanti città medio piccole. Quali ricadute sul quadro politico nazionale e sul futuro del governo Draghi?
Non credo che ci saranno contraccolpi sul governo, che sta affrontando bene sfide ben più impegnative della bassa cucina post elettorale, dalla pandemia alle riforme del Next generation eu. Piuttosto speriamo che da queste elezioni vengano segnali per i partiti, di volare un po’ più alti di quanto si sia fatto finora. Con +Europa lavoriamo per l’aggregazione di un’area liberal-democratica, europeista e ambientalista che abbia il coraggio di affrontare anche temi delicati come eutanasia e cannabis. Magari tra le elezioni e i referendum di primavera qualcosa di buono succederà.

A proposito di Mario Draghi. Su “La Stampa”, Donatella Di Cesare esorta ad alzare il livello della critica verso il presidente del Consiglio, definito “timoniere di una democrazia sospesa”. Come la vede?
Francamente non capisco neanche la definizione. Io vedo che Draghi tira avanti nel programma che aveva annunciato in Parlamento e su cui aveva chiesto e ottenuto la fiducia. Questo è quello che vedo, poi i retroscena li lascio a chi ha la palla di vetro. Non è che la democrazia è sospesa perché c’è Draghi. Se vogliamo parlare seriamente di “democrazia sospesa” allora dovremmo parlare degli ultimi anni. Draghi non è il problema, al contrario è parte della soluzione, sennò eravamo qui bloccati tra le risse interne ai partiti e qualche altra geniale polemica del giorno.

C’è chi vedrebbe molto bene Draghi subito al Quirinale ed elezioni anticipate prima della fine naturale della legislatura. È una trappola?
Stiamo calmi! A parte il fatto che ognuno ha i suoi desideri, più o meno inconfessati e inconfessabili, ma qui c’è da portare a casa le riforme per poi utilizzare il Next Generation Eu. E se non c’è Draghi non riusciamo a farlo. Sembra che viviamo su Marte?

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Esperto di Medio Oriente e Islam segue da un quarto di secolo la politica estera italiana e in particolare tutte le vicende riguardanti il Medio Oriente.