Ormai dentro la magistratura italiana, in particolare fra i Pm, è scoppiata la guerra civile. Si combatte con tutti i mezzi, anche con armi non convenzionali. Contro tutti. Ieri Piercamillo Davigo, che nei giorni scorsi aveva ricevuto attacchi feroci, sia dal procuratore di Milano Francesco Greco sia da Repubblica e dal Corriere (che in teoria non sarebbero magistrati, ma giornali, però lo status giuridico ormai è equiparato…) che avevano pubblicato un paio di veline al veleno, ricevute illegalmente da imprecisati Pm.

Davigo ha reagito col bazooka. Ha fatto pubblicare sul suo giornale stralci degli interrogatori segreti del superteste Piero Amara, l’avvocato che sostiene che esiste la Loggia Ungheria. Il giornale di Davigo ha messo in prima pagina, e poi nelle pagine interne, un bel gruppetto di nomi (li trovate nell’articolo di Paolo Comi) e ha sostenuto che quei nomi sono, più o meno, il vertice della Loggia Ungheria. Una bomba atomica. Alla quale, probabilmente, i nemici di Davigo non eviteranno di reagire. E la guerra civile continuerà, come avevano previsto anni fa il presidente della Repubblica Francesco Cossiga e il nostro Frank Cimini: “finiranno per arrestarsi fra di loro”. Siamo sempre più vicini a quel momento. Del resto molti magistrati di vertice della procura di Milano sono sotto inchiesta, Roma ha un Procuratore dichiarato abusivo cinque volte dal Tar e dal Consiglio di Stato, il Csm ha sospeso dall’attività di magistrato una mezza dozzina di suoi ex membri: e poi c’è tutto il racconto di Palamara che aspetta ancora improbabili smentite. Un verminaio senza fine.

La pubblicazione degli elenchi (o, più probabilmente, di una parte degli elenchi) degli iscritti alla Loggia segreta è stato un colpo basso. Per chi legge il Riformista, niente di particolarmente nuovo. Sono mesi che – sebbene noi non si disponga delle carte segrete che i magistrati passano al Fatto – parliamo della Loggia Ungheria, e – più o meno – avevamo ben descritto di cosa si trattasse e a cosa servisse. Ora c’è la conferma ufficiale, e addirittura arriva dal giornale dei Pm. Che confessa che le cose stanno proprio così: che la magistratura italiana non ha più nulla di indipendente, pure la macchinetta del caffè di Piazzale Clodio dipende da poteri esterni e da camarille varie.
Proviamo a spiegare tutto questo intrico.

L’esistenza di una Loggia Ungheria era stata svelata da questo avvocato Amara – avvocato dell’Eni, ritenuto da molti magistrati teste attendibilissimo in svariati processi – al sostituto procuratore di Milano Paolo Storari, che ne aveva parlato col suo Procuratore, cioè Greco, il quale – secondo Storari – aveva ostacolato la sua inchiesta. Storari perciò portò tutte le carte, illegalmente, a Davigo, all’epoca consigliere del Csm, il quale stava battendosi come un leone per bypassare la norma che gli imponeva di andare in pensione (voleva restare al Csm). Davigo, però, inguattò tutto. Almeno per un po’ di tempo. Poi le carte di Storari, dopo che Davigo aveva perso la sua battaglia per evitare il pensionamento – e non è servito a nulla neppure schierarsi per la nomina di Prestipino a procuratore di Roma (voluta da Pignatone) dopo averla eroicamente avversata per mesi – finirono misteriosamente sulle scrivanie di alcuni giornalisti del Fatto (giornale del quale Davigo è assiduo collaboratore) e di Repubblica. Ma il Fatto e Repubblica, che in genere pubblicano qualunque cosa provenga dai tavoli delle procure o della polizia giudiziaria, si scoprirono improvvisamente garantisti. Nuova categoria: il garantismo-travaglismo, silenzi e manette.

Così il dossier Storari e la notizia dell’esistenza della Loggia restarono segreti, anche se, a quanto pare, Davigo raccontò tutto a tutti i vertici della magistratura. E Il Fatto, e la Repubblica, continuarono a tenere nel cassetto il dossier anche quando Nino Di Matteo, membro del Csm ex davighiano, scoprì l’esistenza del dossier e, finalmente, lo denunciò. A questo punto la notizia della probabile esistenza della Loggia Ungheria è pubblica. E anche clamorosa. I grandi giornali però tacciono (vedrete che resteranno abbastanza silenziosi anche ora che il giornale di Davigo sta iniziando a pubblicare a puntate i verbali Storari). Lo scandalo Palamara avanza, la magistratura è nel fango, le Procure delegittimate, ma l’informazione continua a proteggere le toghe e a dimostrare fedeltà e spirito di servizio. Poi, come succede in questi casi, scocca imprevista la scintilla.

È Greco, il Procuratore di Milano, che la fa scoccare. Perché è furioso. Brescia lo ha messo sotto accusa, i giornali non lo difendono, è inguaiato anche per il processo Eni, e per di più i suoi sostituti e aggiunti, all’unanimità, si schierano contro di lui e pro-Storari, che lui, ormai, odia. E così il silenzioso Greco decide di parlare, rilascia un’intervista al Corriere e spara a palle incatenate contro Davigo. A voi Davigo vi sembra uno che incassa in silenzio? Macché. Tre giorni per organizzarsi e preparare tutto, e poi pubblica i verbali sul suo giornale (non abbiamo ancora scritto il nome del suo giornale, ma pensiamo che lo conosciate: Il Fatto). Prima pagina. All’interno un articolo per spiegare perché quasi un anno di silenzio e poi si pubblica a comando quando l’orologeria dice che è venuto il momento.

L’articolo però non lo scrive Travaglio. Che preferisce tenersi fuori, probabilmente, dalla guerra di Davigo. E infatti dedica l’editoriale, in modo rocambolesco, a una noiosissima polemica sul green pass, della quale nessun lettore -suppongo- è riuscito a leggere più di una quindicina di righe. L’articolo – piuttosto comico- nel quale si spiega perché i verbali non andavano pubblicati, anzi sì, vanno pubblicati, perché era eticamente giusto, anzi obbligatorio non pubblicarli, o forse perché è giusto, anzi obbligatorio, eticamente, pubblicarli – è affidato al povero Gianni Barbacetto, che siccome magari non brilla tanto, gli tocca sempre il compito di prendersi lui le gatte da pelare e la figuraccia.

Detto tutto ciò, si pone la domanda: ma questa Loggia Ungheria esiste davvero o è fantasia? Se non esiste, allora è una manovra diffamatoria e torbida di Davigo e del Fatto, probabilmente su mandato di un settore della magistratura che andrebbe individuato (e non è difficilissimo individuarlo) il quale vuole restare solo al comando e eliminare i nemici. Se invece la Loggia esiste, è semplicemente una associazione a delinquere finalizzata a governare gli esiti dei processi e a condizionare gli equilibri democratici e i poteri dello Stato. Se le varie Procure che ora indagano (con molta calma) sospettano che la Loggia esista davvero, per questi reati devono procedere: non per il reato ridicolo di associazione segreta, che è praticamente imperseguibile. Associazione a delinquere.

Un fatto, comunque sembra relativamente chiaro. Nella magistratura esistono ora due schieramenti contrapposti, che si sfidano all’ultimo sangue. Quello che si raggruppa attorno alla sinistra giudiziaria, anche se non tutta, e quello che si schiera su posizioni conservatrici e moderate. I due gruppi sono in lotta feroce per il controllo dei vertici della magistratura e dunque del potere, e anche per il condizionamento delle indagini e dei processi. In ogni caso, l’Italia è in queste condizioni. La magistratura ha perduto completamente la sua indipendenza, il suo prestigio, e la sua affidabilità. È solo terra di scontro per bande. L’esito dei processi dipende da fattori del tutto estranei alla ricerca e all’accertamento della verità. il paese è fuori controllo. Non è una riforma che serve: serve radere al suolo e ricostruire daccapo. Chiunque non sia o tremendamente impaurito o fuori di senno se ne rende conto.

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Giornalista professionista dal 1979, ha lavorato per quasi 30 anni all'Unità di cui è stato vicedirettore e poi condirettore. Direttore di Liberazione dal 2004 al 2009, poi di Calabria Ora dal 2010 al 2013, nel 2016 passa a Il Dubbio per poi approdare alla direzione de Il Riformista tornato in edicola il 29 ottobre 2019.