Grazie al referendum sulla cannabis lanciato l’11 settembre 2021, la cui raccolta è esclusivamente online, la stampa italiana ha scoperto che il “popolo sovrano” quando ha a disposizione strumenti semplici ed efficaci non si sottrae a partecipare alla vita politica su temi che lo riguardano da vicino. A parte la mobilitazione di grandi partiti come la Lega – ma si è davvero mobilitata? – che ha fatto propri i sei quesiti sulla giustizia del Partito Radicale, per oltre tre mesi l’Associazione Luca Coscioni ha raccolto centinaia di migliaia di firme per l’eutanasia legale grazie a “semplici” militanti che hanno dedicato tempo ed energie a organizzare tavoli e gazebo all’aperto raggiugendo cifre mai viste prima, oltre 900mila firme, per abrogare parti dell’articolo 580 del Codice penale. Un’ondata di partecipazione popolare mai vista prima.
Da sabato scorso, al ritmo di 100.000 firme al giorno!, grazie sempre all’Associazione Luca Coscioni che si è assunta la responsabilità di fornire la piattaforma per la raccolta online – al costo di 1,05 euro a sottoscrizione – Meglio Legale, Forum Droghe e altre associazioni hanno lanciato un referendum per depenalizzare la cannabis. Il quesito consegnato il 7 settembre in Cassazione prevede l’eliminazione delle sanzioni penali per la coltivazione e il consumo personale della cannabis e la cancellazione della sospensione della patente per le stesse condotte. Un referendum non può che abrogare leggi o parti di esse, quindi la legalizzazione della cannabis per com’era stata definita dalla proposta di legge d’iniziativa popolare “Legalizziamo!” del 2016 non era possibile.
Quanto proposto eviterebbe perquisizioni, segnalazioni, denunce, procedimenti penali e amministrativi fino al carcere e/o l’impossibilità di utilizzare la propria auto. Uno scenario radicalmente diverso da quanto previsto oggi dal Testo Unico sulle droghe del 1990 a cui nessuna Legislatura ha mai messo mano. Nel 2014 la Corte Costituzionale cancellò, ma per motivi procedurali, le aggravanti della cosiddetta “Fini-Giovanardi”, mentre nel 1993 il popolo sovrano, grazie a Marco Pannella, si dichiarò favorevole a cancellare per via referendaria molte delle pene previste dalla “Iervolino-Vassalli”. Il ritmo delle firme digitali non ha fatto chiarire al governo se, come chiesto in un ordine del giorno di Riccardo Magi – l’unico parlamentare fattivamente partecipe all’impresa -, il termine di consegna in Cassazione sia il 31 ottobre come previsto dal decreto semplificazioni di luglio, che alla luce dello stato d’emergenza aveva prorogato il termine per i quesiti referendari depositati prima del 15 giugno.
Se la platea degli autenticatori è stata ampliata a parlamentari, consiglieri regionali e avvocati e – soprattutto – se esiste la firma digitale è merito di un ricorso vinto all’Onu da Mario Staderini in cui denunciava gli “irragionevoli ostacoli” frapposti dalle leggi italiane al pieno godimento dei diritti civili e politici. Dopo molti anni, ma in pochi mesi, l’Italia ha adeguato le norme chiamate in causa dalle raccomandazioni delle Nazioni unite. E sarebbe un grave ritorno al passato se si discriminasse un quesito solo perché presentato dopo il 15 di giugno. Restiamo in emergenza sanitaria e alla raccolta firme segue la richiesta dei certificati e la composizione di una consegna in modalità diverse dal passato. Per anni le scuole di partito ci hanno insegnato la politica 2.0, oggi forse quella 4.0, naturalmente senza mai praticarla; nel momento in cui la vedono accadere increduli negli schermi dei loro smartphone devono far i conti con questa nuova realtà. Presidente Draghi non discrimini questo o blitz democratico.
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