La forza lavoro è sempre più vecchia: Giappone e UE accelerano su robotica e automazione

«Nel Giappone che invecchia, il lavoro nei magazzini diventa compito delle macchine», scrive il Financial Times alcuni giorni fa, in un pezzo che racconta come l’invecchiamento della popolazione stia trasformando i magazzini in laboratori di robotica. Nel centro di smistamento di Chiba, vicino a Tokyo, Amazon ha messo in scena un futuro che sembra già presente: qui i robot superano i 2.000 dipendenti, la capacità di stoccaggio è superiore del 40 per cento rispetto a un magazzino tradizionale e le macchine non si limitano a spostare merci, ma avvolgono pacchi con imballaggi di carta calibrati automaticamente e coordinano sistemi di smistamento complessi. Una coreografia che, agli occhi occidentali, ha il fascino e l’inquietudine delle rivoluzioni silenziose.

La spinta verso l’automazione nasce da un dato che il Giappone conosce bene: con quasi un terzo della popolazione oltre i 65 anni, il numero di autisti di camion crollerà entro il 2030, passando da 720.000 a meno di 480.000, secondo il Nomura Research Institute. Eppure, osserva il quotidiano britannico, i manager di Amazon non sembrano allarmati, convinti come sono che la robotica correrà più veloce del declino demografico e permetterà di potenziare servizi come le consegne in giornata. A livello globale, il gruppo di Seattle sta introducendo un modello di intelligenza artificiale chiamato DeepFleet, capace di coordinare i movimenti della flotta robotica e già in grado di migliorare del 10 per cento la velocità delle macchine. È una scommessa sulla tecnologia come antidoto alla crisi del lavoro, una fiducia che però non è condivisa da molte aziende giapponesi, alle prese con un mercato frammentato e con la complessità di gestire prodotti troppo diversi, difficili da standardizzare. Il vero nodo è capire se il salto sarà esplosivo o se, alla fine, la presenza umana resterà insostituibile.

Nonostante la fama di “terra dei robot”, il Giappone mostra in realtà una densità molto bassa nei magazzini. La resistenza non dipende solo dai costi, ma anche da fattori strutturali: magazzini piccoli, distribuiti su più piani e spesso a forma di “L”, oltre a una disponibilità di suolo limitata che scoraggia la costruzione di hub logistici giganteschi. Inoltre, la diffusione relativamente lenta dell’e-commerce, che non arriva al 10 per cento delle vendite al dettaglio, riduce la pressione a innovare. Non a caso, alcune grandi aziende come SBS Holdings preferiscono assumere manodopera straniera per compensare la carenza di autisti piuttosto che confidare nella guida autonoma, considerata ancora lontana dalla maturità.

Se questo è lo scenario asiatico, cosa accade in Europa? Anche qui l’automazione è legata alla demografia e alla trasformazione del commercio. Nel Vecchio Continente, dove la popolazione attiva diminuisce e il lavoro manuale nei magazzini diventa meno attrattivo, il mercato della warehouse automation cresce a ritmi impressionanti. Secondo le stime di Mordor Intelligence, il valore complessivo del settore passerà da circa 5 miliardi di dollari nel 2025 a quasi 10 miliardi nel 2030, con un tasso annuo di crescita superiore al 14 per cento. Altri analisti, come Verified Market Research, parlano di un’espansione fino a 12 miliardi entro il 2032.

I dati sulla densità robotica confermano il trend: nelle fabbriche europee ci sono oggi 219 robot ogni 10.000 dipendenti, un numero che supera la media mondiale e che è raddoppiato in sette anni. Anche se non tutti questi impianti riguardano la logistica, l’indicazione è chiara: l’automazione non è più sperimentazione, ma normalità. GXO Logistics, gigante americano con forte presenza europea, ha annunciato investimenti massicci in robot collaborativi e sistemi automatizzati di picking. E sempre più startup entrano nel mercato con soluzioni di intelligenza artificiale e visione computerizzata, pensate per affrontare la variabilità dei prodotti e la flessibilità che i consumatori richiedono.
Se guardiamo in prospettiva, Giappone ed Europa sembrano percorrere due strade parallele, guidate da una necessità comune: mantenere le catene di fornitura in un mondo che invecchia e che chiede consegne sempre più rapide.

La differenza è che il Giappone, con il suo declino demografico più drammatico, si trova costretto a correre più in fretta, mentre l’Europa può ragionare in termini di strategie di medio periodo, sfruttando l’espansione dell’e-commerce e politiche industriali che spingono verso l’innovazione. In entrambi i casi, però, il punto non è più quanto costi un robot rispetto a un lavoratore, bensì se ci saranno abbastanza esseri umani per garantire che il sistema regga. E a quel punto, la vera domanda non è quanto tempo servirà per ripagare l’investimento, ma se, senza automazione, sarà ancora possibile consegnare i pacchi.