IA
Il futuro dei robot: senza cervello ma utili: meglio che non ci somiglino per niente

I robot più incredibili e divertenti erano nella saga di “Star Wars” (1977): ci somigliavano tantissimo e parlavano per beep. Poi, in “Ex Machina” – thriller da brividi del 2015 – abbiamo “conosciuto” Ava, il robot umanoide con intelligenza artificiale che veniva sottoposto al test di Turing per valutare se avesse iniziato a considerarsi vivo: questioni che oggi già ci sono più familiari. Dunque è uscito “A.I. – Intelligenza Artificiale” (2001): fu un mezzo flop, nonostante fosse un film di Spielberg basato su un progetto di Kubrick. Forse per la trama, davvero difficile da digerire: il protagonista era il primo robot bambino programmato per provare sentimenti e, rifiutato dalla famiglia a cui era stato destinato, cercava la propria, inseguendo (inutilmente) la favola di Pinocchio.
La rivoluzione
La lista sarebbe lunga: Terminator, L’uomo Bicentenario, Trasformers, Il Mondo Dei Replicanti e molti altri ancora. Dalle pellicole alla realtà. Ripreso dal Financial Times, Elon Musk ha dichiarato di prevedere un mercato da 10 trilioni di dollari per Optimus, il tentativo di Tesla di creare un essere umano artificiale che possa sostituirci nelle faccende domestiche. Mentre il capo di Nvidia, Jensen Huang, ha detto che quella dei robot sarebbe “la più grande industria tecnologica che il mondo abbia mai visto”. E a giudicare dall’ondata di investimenti nelle start-up di robot e dalla marea di video online di robot bipedi che mostrano impressionanti movimenti simili a quelli umani, è facile credere che una rivoluzione di questa portata sia a un tiro di schioppo: se i grandi modelli linguistici possono affrontare difficili compiti di ragionamento, allora potrebbe sembrare semplice impiantare un modello in un robot e rieducarlo a navigare nel mondo. Problema risolto?
No. Questo ragionamento sottovaluta seriamente le difficoltà. Grazie a decenni di fantascienza, molte persone presumono che l’IA sia intrinsecamente incarnata quando, in realtà, portare l’intelligenza nel mondo fisico è un salto molto più grande. E richiederà modi completamente nuovi di addestrare i cervelli dei robot perché non ci sarà spazio per il tipo di “allucinazioni” a cui sono esposti gli LLM odierni. Gli stessi produttori rischiano di perdere una chance nel breve periodo: un mercato molto signifi cativo che si sta aprendo per robot che non hanno affatto due gambe e che non cercano di imitare gli umani in tutta la sua complessità. Le aziende di robotica affrontano infatti diversi ostacoli oltre a quelli che si presentano oggi ai produttori di LLM: non esiste un corpus di dati pronto all’uso che descriva il mondo fi sico. E le macchine che interagiscono con il mondo e manipolano oggetti, affrontano un grado di difficoltà molto più elevato rispetto a quelle autonome come, per esempio, le auto a guida autonoma: i veicoli devono solo muoversi nel mondo senza colpire nulla; un robot è progettato, invece, per riuscire anche solo “a toccare” in modo corretto, per adempiere il suo compito più elementare.
Alla sua conferenza tecnologica annuale tenutasi la scorsa settimana nella Silicon Valley, Nvidia ha affrontato di petto alcuni di questi problemi. Il suo sistema, Cosmos, è stato sviluppato per creare mondi virtuali che possono essere utilizzati per addestrare i cervelli dei robot, anche se non è chiaro fi no a che punto questi dati sintetici – dunque dati non creati dall’uomo che imitano quelli del mondo reale – andranno a sostituirli. Il grande produttore di chip ha anche affermato di aver iniziato a lavorare allo sviluppo di un “motore fisico” che può aiutare un robot a comprendere le proprietà delle tante cose diverse che potrebbe incontrare, ad esempio, distinguendo oggetti duri e morbidi.
Il lavoro sul motore fisico è stato intrapreso insieme a Disney e Google DeepMind: un allineamento di interessi aziendali che la dice lunga sul mix di tecnologia profonda e fantasia che sta guidando la rivoluzione dei robot. Ma il mercato più vicino è quello fatto da macchine che, invece di emulare le persone nella loro complessità, risultano certamente più “noiose” ma anche più utili, perché in grado di gestire singole attività o di lavorare in ambienti adattati al loro uso, come magazzini e fabbriche. Tra queste ci sono macchine come i carrelli da magazzino automatizzati costruiti da Robust.ai, una start-up di Rodney Brooks, ex professore di intelligenza artifi ciale al Massachusetts Institute of Technology. Oppure lavastoviglie che non hanno bisogno di mani e braccia, per liberare gli umani da un noioso lavoro domestico. Insomma, un’ondata di robot – magari “senza cervello” – ma utili, e che non ci somigliano per niente.
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