La giustizia spettacolo della Leosini è un errore, quelle immagini ci rendono più feroci

La decisione di Rai Cultura di non trasmettere su Rai Storia l’intervista di Franca Leosini a Luca Varani, l’uomo condannato per aver sfregiato Lucia Annibali, è arrivata dopo le proteste della stessa Annibali, ora deputata di Italia Viva. Polemiche che erano sorte anche nel 2016, quando l’intervista fu trasmessa per la prima volta. La Rai, su iniziativa della Leosini, l’aveva programmata per il 25 novembre, Giornata internazionale contro la violenza sulle donne, insieme all’intervista a Angelo Izzo. Non entro nel merito della decisione Rai di cambiare la programmazione, ma penso che il lavoro della Leosini con tutte le sue Storie maledette – non solo queste due interviste – sia parte integrante di quella giustizia-spettacolo che tanto male ha fatto alla giustizia, allo spettacolo, alla tv. E soprattutto a noi.

Sono anni che siamo subissati di programmi che si interessano di fatti di cronaca nera. Il processo ancora prima che nelle aule giudiziarie si fa nei salotti televisivi: condanne (quasi sempre), qualche assoluzione, molte analisi grossolane. Questo calderone, che ha fatto a pezzi il diritto o quel po’ di diritto che era diventato cultura diffusa, ci ha cambiati dal punto di vista antropologico e cognitivo: antropologico perché siamo sempre alla ricerca di un capro espiatorio; cognitivo in quanto ormai la nostra analisi della realtà è bloccata sulla divisione in colpevoli e non colpevoli, incapaci di analizzare i fatti fuori da questo schema. Siamo peggiorati. Trasmissione dopo trasmissione ci siamo ritrovati a essere quel popolo che urla contro Gesù mentre viene messo in croce.

Le Storie maledette della Leosini, anche se quasi sempre affrontano casi passati in giudicato, sono dentro questa logica, in cui prevale il voyeurismo, un certo gusto per il dettaglio morboso, un pizzico di sadismo. Un mix micidiale che per lo spettatore funziona come cloroformio: il cervello va in pappa, si crede a tutto quello che viene detto, non si ha la possibilità di andare oltre la ricostruzione fatta dalla intervistatrice. La Rai, che è servizio pubblico, non dimentichiamolo, dovrebbe porre fine a questo tipo di trasmissioni. La deontologia dell’Ordine dei giornalisti è piena zeppa di raccomandazioni al riguardo sui diritti degli imputati, sul valore della presunzione di non colpevolezza, sulla necessità di trattare con sobrietà i fatti di cronaca. Le chiamano Carte. Potremmo dire carte stracce, visto il poco uso che noi giornalisti spesso e volentieri ne facciamo.

Ma torniamo alla polemica di questi giorni. Ciò che colpisce in particolare è il fatto che l’intervista a Luca Varani fosse programmata per la Giornata internazionale contro la violenza sulle donne. Questo tema delicatissimo viene trattato dai media con una retorica insopportabile che indugia o sulla donna vittima o sui dettagli morbosi o sulle storie che fanno clamore. Tutto fa notizia e anche le donne che vengono uccise dai mariti non scappano a questo destino. Spettacolo, spettacolo, sempre spettacolo. Il giorno dopo il 25 novembre, fatto l’ultimo titolo con la frase del Presidente della Repubblica, Sergio Mattarella, si spengono le luci. E anche se ogni tanto si parla della violenza maschile sulle donne, lo si fa male: si parla poco dei motivi profondi che generano questa violenza, si raccontano male le storie delle donne che alla fine finiscono per morire. Si preferisce descriverle come vittime, come inette che non ce la fanno.

Quando spesso sono leonesse che combattono e che le istituzioni lasciano sole. C’è poi, in quel mix, sempre una dose di voyeurismo, un guardare dal buco della serratura, uno spiare che non produce conoscenza, consapevolezza, non aiuta a capire come cambiare la testa degli uomini che uccidono, ma serve solo a creare altro rumore di fondo. Altro spettacolo. Pensare che l’intervista a Luca Varani potesse aiutare in qualche modo a capire il perché della sua violenza, senza peraltro prevedere il diritto di replica da parte della donna che l’aveva subita, lascia di stucco. Va bene nella programmazione di una Rai distratta e dentro il loop del circo mediatico, ma almeno per favore nessuno lo spacci per impegno della tv pubblica a favore delle donne. È spettacolo, anche molto brutto. Per il 25 novembre pensate qualcosa di meglio. Anzi, visto che ci siete, pensate qualcosa di meglio sempre.

Ps: A proposito di paladini disinteressati della libertà d’espressione, da sottolineare come il Fatto Quotidiano nel 2016 si schierò contro la messa in onda. In quella occasione era contrario anche il procuratore di Pesaro e a un Pm l’House organ delle procure non dice mai di no. Questa volta siccome a chiedere di non mettere in onda l’intervista è stato l’odiato Matteo Renzi, il Fatto Quotidiano si è schierato con Franca Leosini e ha urlato alla censura. Ineccepibile.