Politica
La politica, i giovani e il futuro…
Chi è nato in Italia tra la seconda metà degli anni ’80 e gli anni 2000, viene definito “millennials” e fa parte di quella generazione, forse la prima dopo mezzo secolo, di chi, con assai probabilità, rischia di stare peggio della generazione che l’ha preceduta.
Se sei nato in quel periodo in Italia avrai conosciuto il “benessere senza prospettiva”, una sorta di benessere incapace di rigenerarsi, creato dalla generazione precedente a proprio uso e consumo e non per le generazioni future, le quali hanno avuto la sventura di conoscerlo con la quasi certezza di vederlo presto svanire. Ovviamente tutto questo è valido soprattutto per chi come me è nato al sud, in una terra svantaggiata, dove la perenne crisi affonda le sue radici già dai tempi dell’unità d’Italia e dove le emergenze si amplificano.
Gli anni ’80, fino alla meta degli anni ’90, hanno palesato un sistema di benessere diffuso, di miglioramento delle prospettive e di progresso sociale, frutto del boom economico dei decenni precedenti, ma negli stessi anni, hanno iniziato a manifestarsi i primi segni di cedimento strutturale di un visione politica miope incentrata sull’oggi e che ovviamente impediva di costruire il domani.
Ed allora prima l’aumento vertiginoso del debito pubblico, poi la crisi finanziaria del 2008 ed infine l’attuale crisi sanitaria, economica e sociale dovuta alla pandemia, non solo ha messo a dura prova il futuro di una intera generazione, che rischia di essere ininfluente ed insignificante nel corso della storia, ma ha messo a nudo tutte le pecche di una classe dirigente politica che ha sempre pensato esclusivamente al presente.
Infatti è proprio avere costruito un benessere economico e sociale diffuso in questo modo ad avere causato le diversi crisi che abbiamo attraversato negli ultimi decenni, un po’ essere sia causa sia effetto. Cioè, se pensi solo ad oggi, domani ne pagherai il conto, non si scappa, è ampiamente dimostrato che significa solo rinviare i problemi, aumentandone la portata ed i rischi connessi.
Proprio per questo c’è bisogno che la politica si riappropri della propria “missione”, si riappropri della parola “futuro”, elaborando un pensiero a lungo termine.
A tal proposito emblematiche e molto importanti, a mio avviso, risuonano le parole pronunciate da Mario Draghi durante il meeting di Comunione E Liberazione tenutosi nelle scorse settimane.
Mario Draghi ha incentrato il suo illustre intervento sulla parola futuro, ha parlato di debito buono e debito cattivo, ha definito i sussidi come rimedi, temporanei ed estemporanei, inadatti a creare futuro, ha rilanciato un invito all’impegno etico e sociale senza incertezze, in poche parola ha tracciato la via che la nostra nazione dovrà seguire nei prossimi anni.
Ha parlato la lingua della politica vera, proprio quella che la politica “ufficiale” ha smarrito da tempo.
Allora mettiamoci tutti in gioco, ripensiamo un sistema, progettiamo i prossimi 20 anni insieme.
Basti pensare a tutte le ingiustizie che questa crisi ci ha mostrato in modo crudo e pungente. Ad esempio le difficoltà della scuola, le inefficienze di un sistema sanitario allo sbando, specie al sud, i concorsi al palo che mettono alla disperata prova interi anni di studio e di impegno di una generazione già affamata di lavoro, il sistema competitivo delle nostre imprese che stenta a rialzarsi.
Di fronte a tutto questo la politica molte volte è silente, dinanzi le fatiche di un ricercatore, di un tirocinante, di uno stagista, non si può rispondere con l’idea di un reddito di cittadinanza senza prospettive che, così come quota 100, hanno solo creato ulteriori debiti senza creare posti di lavoro, opportunità e ricambio generazionale.
Si deve rispondere con forza, chiedendo opportunità e non sussidi, facendo capire che a noi piace studiare, confrontarci, immaginare, lavorare, perché il progresso è fatica, impegno, determinazione e voglia di migliorarsi. Non esistono sussidi eterni se non quelli finalizzati ad essere usati per fini elettorali, perché ciò che viene definito “dignità” per il presente, molte volte la vera dignità la toglie proprio al presente stesso e soprattutto al futuro.
Tutto questo non può lasciarsi indifferenti, speranzosi che si rimetterà tutto a posto una volta trovato il vaccino, perché non andrà così se non cambieremo tutto ciò che c’è da cambiare.
Negli anni ’70-‘90 si è assistito ad una maggiore intraprendenza del mondo giovanile, si contestava apertamente, c’era voglia di protagonismo, di mettersi in gioco discutendo dei problemi.
Ovviamente non chiedo di tornare indietro, il mondo è cambiato e per certi versi anche i problemi da affrontare, ma proprio per questo si sente il bisogno di una nuova spinta sociale, di merito e di metodo, che non può non venire da chi ha il futuro da scrivere.
Tocca soprattutto a noi farlo, tocca proprio a quella generazione che più ha subito l’urto delle crisi a ripetizione e che proprio per questo può trovare in se stessa la forza per ribellarsi, per cambiare, per rivoluzionare un paradigma ormai stantio e senza prospettiva.
Pertanto mettiamoci tutti in discussione, scendiamo in campo e dimostriamo coraggio, apriamo la politica ad una generazione nuova.
Mi piacerebbe che si organizzasse una grande “Woodstock del futuro”, un think tank politico dove mettere in contatto tutte le nuove energie, le competenze dei tanti che ogni giorno si sforzano di conoscere, imparare, lavorare affinché il futuro sia dalla loro parte.
Le parole di Draghi ci invitano a disegnare una nuova Italia, un nuovo mondo, consapevoli che da ogni difficoltà può palesarsi una opportunità di cambiamento.
Proviamoci insieme.
*Coordinatore Italia Viva Provincia di Cosenza
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