La trasformazione del conflitto globale sta accelerando: tra pressione tecnologica, espansione del dominio underwater e riallineamento Nato, l’Italia è chiamata a rafforzare capacità, industria e resilienza. «Viviamo in un continuum of competition – spiega il Sottosegretario alla Difesa Matteo Perego di Cremnago -. La Difesa non è il contrario della pace, ma ciò che le permette di esistere».

Sottosegretario, quanto l’Italia è preparata ad affrontare la guerra ibrida e quali strumenti state rafforzando per proteggere le nostre capacità strategiche?
«Solo di recente il dibattito pubblico ha iniziato a comprendere che oggi viviamo, di fatto, dentro una guerra ibrida, in quello che in gergo tecnico viene definito continuum of competition ovvero una condizione in cui la competizione è costante, pur rimanendo al di sotto della soglia del conflitto. A queste dinamiche appartengono anche azioni condotte nel dominio cyber o attraverso la disinformazione, capaci di superare i confini geografici tradizionali. Oggi, infatti, un attacco informatico lanciato dall’altro capo del mondo contro un’infrastruttura strategica può produrre effetti paragonabili a quelli di un’azione cinetica tradizionale se pensiamo al blocco del traffico aeroportuale o nella produzione di energia da parte di una centrale elettrica. Sul fronte della cybersicurezza, è stato recentemente siglato un accordo tra il Ministero della Difesa e l’Agenzia per la Cybersicurezza Nazionale ma al contempo stiamo lavorando alla costituzione di una vera e propria arma cyber, formata da personale militare e civile, con l’obiettivo di potenziare la capacità della Difesa di generare effetti anche in questo dominio. Mi preme sottolineare un aspetto spesso trascurato nei dibattiti ma che ritengo fondamentale: la necessità di rafforzare la nostra resilienza cognitiva rispetto ai temi della difesa e della sicurezza, che rappresentano i pilastri della società. Senza difesa e sicurezza, infatti, non esisterebbero scuole, ospedali e, ahimè, il conflitto russo-ucraino lo ricorda ogni giorno. La disinformazione, anch’essa parte di questa guerra ibrida, mira proprio a erodere la coesione sociale, destabilizzando l’opinione pubblica anche nei confronti di questi temi. Il punto è che la tecnologia evolve con una velocità straordinaria e le minacce evolvono con essa. Per questo la nostra risposta nell’adeguare la nostra capacità di difesa deve essere altrettanto rapida e flessibile, a garanzia del nostro futuro. La Difesa non è il contrario della pace, ma ciò che le permette di esistere».

Dalla sicurezza dei cavi sottomarini alle infrastrutture energetiche offshore, il mare profondo è diventato un punto vulnerabile del sistema Paese. Quali investimenti sono previsti per potenziare la postura italiana nella dimensione underwater?
«Conosciamo di più la superficie di Marte che quella dei nostri fondali. È un paradosso, è vero, ma è la realtà. La dimensione subacquea è passata dall’essere un tema quasi esclusivamente tecnico a diventare una vera e propria questione strategica per la difesa e la sicurezza nazionale solo negli ultimi anni e, nonostante gli episodi di sabotaggio nel Nord Europa del recente passato abbiano acceso i riflettori su questo aspetto, continuiamo a parlarne ancora troppo poco. Sul fondo dei nostri mari corrono milioni di chilometri di cavi che trasportano la quasi totalità del traffico dati globale e infrastrutture energetiche essenziali per la quotidianità. Per anni questa realtà è rimasta “invisibile” e oggi la risposta non può essere soltanto militare bensì sistemica. In questo senso, l’Italia ha fatto una scelta chiara. È infatti in corso di definizione in Parlamento un quadro normativo all’avanguardia a livello internazionale per la protezione delle infrastrutture critiche subacquee con la creazione di una vera e propria Agenzia (ASAS – Agenzia per la Sicurezza delle Attività Subacquee) per il coordinamento di queste attività. Inoltre, con il Polo Nazionale della Dimensione Subacquea – che proprio in questi giorni celebrerà il suo secondo anno di piena operatività – abbiamo rafforzato la cooperazione tra Difesa, mondo della ricerca e industria di settore, elemento fondamentale per sviluppare tecnologie innovative, come quelle relativi ai sistemi autonomi. Un futuro dove i nostri figli nuoteranno in mari costantemente vigilati da droni subacquei, sistemi autonomi capaci di garantire la sicurezza delle nostre acque e la protezione delle infrastrutture strategiche, non è poi così lontano».

La legge di bilancio arriva in una fase di riallineamento della spesa militare agli standard NATO. Quali sono le priorità reali e cosa può essere razionalizzato?
«Il riallineamento non è una corsa ai numeri, ma un percorso necessario per garantire uno Strumento militare moderno, flessibile e credibile, in grado di rispondere ai tempi e ai nuovi scenari operativi. L’obiettivo è assicurare la sicurezza dello Stato e tutelare i nostri interessi nazionali, contribuendo al contempo a quella dell’intero Continente. È importante chiarire che non si tratta soltanto di armi e munizioni; parliamo di tecnologia, innovazione, know-how oltre che di significative ricadute positive nel tessuto industriale del Paese. La salvaguardia dell’area del Mediterraneo Allargato resta una priorità per l’Italia e, in questo contesto, diventano sempre più centrali anche i nuovi domini – come lo spazio e quello cyber – oltre che le molteplici dimensioni della guerra ibrida cui abbiamo accennato, come quella cognitiva. Per questo l’acquisizione di capacità moderne, tecnologicamente avanzate e bilanciate tra le diverse componenti della Difesa, insieme alla prontezza operativa e alla disponibilità di riserve – dalle munizioni agli armamenti, fino alle parti di rispetto – è essenziale. Senza questi elementi, rischieremmo di compromettere la nostra capacità di deterrenza e quella di generare gli effetti voluti nel multidominio».

Il riarmo globale sta spingendo molti Paesi a rafforzare le proprie filiere industriali. Che ruolo può giocare l’Italia e quali condizioni servono per attrarre investimenti nel settore della difesa?
«L’Italia dispone di una base industriale di eccellenza, con competenze riconosciute a livello internazionale che vanno dall’aerospazio alla cantieristica. Il nostro tessuto produttivo, costituito per circa l’80% da PMI, rappresenta uno dei principali fattori che ci consentono di rimanere all’avanguardia in molte tecnologie e di esprimere un know-how davvero significativo. A mio avviso, il modo più efficace per affrontare le sfide attuali è rafforzare il partenariato pubblico-privato, proprio come stiamo facendo nella dimensione underwater. Abbiamo costruito un modello virtuoso che, per approccio e risultati, può e deve contaminare anche altri settori e domini strategici. Ma non dobbiamo dimenticare l’elemento comune a tutto, il vero fulcro del nostro ingegno: il capitale umano. Il personale dell’intero Comparto Difesa, donne e uomini straordinari ai quali deve andare il nostro più sincero sentimento di gratitudine, rappresentano la risorsa più preziosa del Comparto, da tutelare a tutti i costi. È a loro che dobbiamo guardare con attenzione promuovendo ogni iniziativa utile a migliorare la condizione del militare. È in questo quadro che si inserisce la proposta del Ministro Crosetto di creare una riserva da tutelare. Servono percorsi formativi tecnici e scientifici adeguati, così come un ecosistema in cui grandi imprese, PMI e start-up possano lavorare insieme in modo naturale e continuo. C’è poi un aspetto più ampio da considerare relativo alla demografia, che rappresenta una sfida sistemica per chi vuole competere sull’innovazione. Per fare un esempio, basti pensare al dato dell’India, che può contare su un bacino di circa 700 milioni di persone con un’età media di 28 anni; numeri enormi che si tradurranno in una disponibilità di ingegneri e competenze tecniche difficilmente eguagliabile. Di fronte a realtà così vaste, l’Italia non può rimanere indietro. Coniugare eccellenze industriali e visione di lungo periodo è una necessità per continuare a essere un hub attrattivo e affidabile per progetti europei e internazionali».

L’evoluzione dello scenario richiede una relazione più stretta tra Forze Armate, industria e ricerca. Come state facilitando questo raccordo e dove si aprono le maggiori opportunità?
«Oggi nessun attore, da solo, è in grado di sostenere il ritmo dell’innovazione. Ed è proprio per questo che sono convinto che un modello basato su un dialogo continuo tra Difesa, Industria e mondo della Ricerca, sia il più adatto per affrontare con efficacia il presente e prepararsi alle sfide che il futuro ci riserva. Durante la mia missione negli Stati Uniti ho avuto modo di osservare da vicino un approccio fondato sul paradigma “faster, cheaper, better” che guida la Defence Innovation Unit, e posso dire che l’integrazione tra pubblico e privato rappresenta davvero un moltiplicatore di efficacia. Le maggiori opportunità, infatti, nascono proprio da questa convergenza di interessi e competenze. Se guardiamo alla dimensione underwater vediamo chiaramente come la ricerca possa trasformarsi rapidamente in capacità operative, e come la sicurezza nazionale possa diventare allo stesso tempo un volano per la crescita industriale del Paese. Abbiamo di fronte a noi un futuro ricco di grandi sfide, questo è certo, ma per chi è in grado di approcciarle con visione e unità d’intenti sono sicuro che sarà oltremodo ricco di opportunità. Per una grande Nazione come la nostra, costituita da eccellenze in molteplici settori, non ci potrebbe essere migliore occasione».