Sono passati 4 mesi da quando Sara Pedri, 31 anni, originaria di Forlì è scomparsa nel nulla. Una stimata professionista, una ginecologa, è scomparsa il 4 marzo in Val di Non, Trentino, dove lavorava da novembre in nella ginecologia dell’ospedale Santa Chiara di Trento. Sin da subito Emanuela, la sorella di Sara ha denunciato che la scomparsa della sorella aveva molto a che vedere con quello che ha definito un “clima malsano e umiliante sul posto di lavoro”.
Effettivamente Sara era destabilizzata da quel lavoro. Si era trasferita in Trentino per lavorare a Cles, ma una riorganizzazione dovuta al Covid era finta invece al Santa Chiara di Trento. Tornata a casa per qualche giorno a febbraio, era apparsa scossa e dimagrita. “Calo ponderale per stress da lavoro”, il referto del medico di famiglia. Poi il 4 marzo scompare nel nulla lasciando come ultima traccia di se l’auto parcheggiata nello spiazzo di un albergo tra Cles e Cis.
Sara sarebbe scomparsa per le vessazioni subite mentre lavorava. L’ipotesi si è trasformata in un’indagine doppia, della Procura dell’Azienda sanitaria, che getta ombre sulla gestione dell’intero reparto. Le ricerche di Sara continuano dopo l’ultima svolta nelle indagini: i cani molecolari hanno fiutato un cadavere nei pressi del lago di Santa Giustina.
“Mi sono tolta un grande peso”, aveva detto alla sorella Sara dopo aver rassegnato le dimissioni il 3 marzo stesso. “Mi diceva che a lavoro veniva verbalmente offesa . Era paralizzata dal terrore”, ha raccontato Emanuela agli investigatori. A poco a poco dagli altri dipendenti di quel reparto sono arrivate altre testimonianze sul clima che effettivamente si viveva nel reparto.
Hanno raccontato di quel “sistema punitivo”, fatto di “abusi di potere, minacce continue” e umiliazioni; tra i colleghi, c’era chi addirittura sperava di fare un incidente grave per non dover più lavorare in ginecologia, come riferito dalla trasmissione televisiva “Chi l’ha visto?”. Un fulmine a ciel sereno su un reparto considerato d’eccellenza anche se ben undici operatori l’avevano abbandonato nel 2019.
“Mia sorella a Catanzaro è cresciuta come professionista e persona, ma poi arrivata a Trento all’ospedale Santa Chiara, qualcosa è successo – ha raccontato Emanuela in un post su Facebook – Vorrei che fosse chiaro che la famiglia di Sara non ha mai puntato il dito sulle capacità professionali di nessuno, semplicemente cerchiamo risposte, quelle risposte che in parte ci sono state fornite dalle numerose e continue testimonianze che ogni giorno dal 4 di Marzo e da 4 mesi, ci stanno arrivando in maniera spontanea dagli stessi professionisti attualmente in forza e non, al Santa Chiara, che negli anni si sono dimessi, trasferiti in altri ospedali locali, o semplicemente sono stati trasferiti in un altro reparto”.
“Tutti hanno lamentato un disagio ambientale, definendolo ‘apocalittico’ esistente e preesistente a Sara – continua il racconto nel post su Facebook – Sara quando è arrivata al Santa Chiara era assolutamente in assetto e a detta di chi l’ha conosciuta sul posto era entusiasta, sicura di sé, volenterosa, socievole, disponibile, puntuale e molto educata. Poi qualcosa di grave a livello umano è successo…”.
Dunque forse Sara era vittima di mobbing. Così la Procura ha aperto un fascicolo e l’Azienda sanitaria ha avviato una commissione d’indagine interna: 70 ostetriche hanno chiesto di essere ascoltate. Nelle ultime ore, cinque ginecologhe, attraverso i legali, hanno sottolineato “l’incompatibilità ambientale” del rientro del primario del reparto al Santa Chiara. Il medico era stato allontanato in ferie forzate finchè la situazione non rientrasse.
“Speriamo che anche dopo questa tragica perdita non ci si soffermi, come spesso succede, a guardare solo i numeri e il budget – continua Emanuela su facebook – ma che si dia più importanza a tutte quelle Persone che sono il Cuore del Santa Chiara e che hanno bisogno di lavorare in un ambiente che le tutela e le fa sentire adeguate e capaci”.
Il ritrovamento della sua auto nei pressi del ponte di Mostizzolo hanno anche fatto ipotizzare anche un gesto estremo. Il dubbio si è fatto più pressante quando si sono aggiunti i riscontri dei cani molecolari. Le unità cinofile hanno riconosciuto una traccia del passaggio di Sara proprio all’imbocco del ponte e hanno fiutato l’ultima scia in un punto in cui si apre un dirupo di 50 metri.
Poco distante, il torrente Noce si immette nell’immenso lago artificiale di Santa Giustina. Le ricerche dei vigili del fuoco hanno virato verso il bacino, setacciato negli ultimi mesi ogni tre-quattro giorni. Hanno segnalato la presenza di un corpo in un punto preciso del bacino, ma il cadavere non è ancora stato recuperato e le acque melmose non facilitino certo le indagini in un luogo dannato dove si sono susseguiti sei suicidi in sette mesi. Le indagini scuotono i vertici dell’Azienda sanitaria trentina.
