Prologo. Per puro caso misi il piede su una grossa merda: avrebbe potuto essere, ma ancora non doveva, Tangentopoli, rivelata con dodici anni d’anticipo. Era il 27 febbraio del 1980 e Eugenio Scalfari mi chiese di intervistare Franco Evangelisti, braccio destro di Giulio Andreotti e ministro della Marina Mercantile, interlocutore di Tonino Tatò, a sua volta fiduciario di Enrico Berlinguer. Evangelisti, in un impulso imprudente, mi raccontò in romanesco come funzionava il finanziamento di partiti e poi mi disse: «Vabbè, adesso riprendi il tuo taccuino e famo l’intervista vera. Tu me chiedi: che è ‘sta storia? e io te risponno che indubbiamente occorrerebbe fare una riforma…». Io invece scrissi tutto e l’intervista provocò uno scandalo, ma non perché mettesse in piazza lo stato reale delle mani sporche. La reazione scandalizzata fu sulla forma, la volgarità del povero Evangelisti: Paolo Flores d’Arcais, indisse un convegno su «A Fra’, che te serve?» e tutta la sinistra derise Evangelisti per il suo sfrontato romanesco democristiano, ma nessuno fece una piega sulla rivelazione dei finanziamento occulto.
Nel 1980 il Compromesso Storico era morto da due anni con l’omicidio di Aldo Moro e il Pci seguitava ad essere finanziato dall’Urss, dettaglio fondamentale per comprendere il filo conduttore. I comunisti che interpellai mi spiegarono che non era assolutamente il caso di toccare la questione dei finanziamenti perché vigeva non il compromesso, ma un gentlemen agreement: il Pci si riforniva illegalmente, ma alla luce del sole di finanziamenti sovietici e di conseguenza tutti gli altri partiti si ritenevano autorizzati a pareggiare i conti con le tangenti, cui peraltro usufruiva anche il Pci negli affari con l’Urss. Francesco Cossiga mi raccontò che quando l’emissario del Pci tornava da Mosca con i contanti che Boris Ponomariov gli aveva fatto sistemare in una valigetta, lo attendevano gli uomini del Viminale e due funzionari del Tesoro americani, incaricati di controllare l’autenticità dei dollari. Poi, andavano in Vaticano allo sportello dello Ior per cambiare i dollari in lire e ognuno tornava a casa sua. Valerio Riva nel suo celebre Oro di Mosca ha ricostruito tutto. Questo antefatto è indispensabile per illuminare un solo punto: quando Evangelisti svelò come funzionava il meccanismo delle tangenti, non un solo procuratore della Repubblica ritenne di aprire un fascicolo. Bisognò aspettare dodici anni affinché il pm Antonio Di Pietro ottenesse l’ordine di cattura per l’ingegner Mario Chiesa, da cui partì il meteorite che portò all’estinzione di tutti i dinosauri della prima Repubblica.
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Fu allora che Francesco Saverio Borrelli adottò la parola d’ordine di mobilitazione morale “Resistere, resistere, resistere” che entusiasmò la sinistra, ma fece imbufalire la destra che nel Consiglio comunale di Milano gli negò l’ambito “Ambrogino d’oro” proposto da Nando dalla Chiesa, Basilio Rizzo, Giovanni Occhi, Letizia Gilardelli, Giovanni Colombo e Sandro Antoniazzi. A quell’epoca Francesco Cossiga aveva già scatenato l’inferno annunciando che la caduta del comunismo sovietico avrebbe lasciato nudo il sistema delle impunità fino ad allora garantite dalla posizione geografica dell’Italia. Luca Mantovani e Stanton H. Burnett, autori di The Italian Guillotine: Operation Clean Hands and the Overthrow of Italy’s First Republic (Operazione Mani Pulite e l’abbattimento della Prima Repubblica), che nessun editore italiano ancora oggi ha avuto il fegato di pubblicare, spiegarono già vent’anni fa che “la ghigliottina italiana” era stata concepita e programmata in un piano nato negli Stati Uniti da un gruppo di procuratori, giuristi, e specialisti dell’ “Italian desk” di Washington. Prima che la guera fredda terminasse, il Dipartimento di Stato e l’ex segretario di Stato Henry Kissinger (diventato amico e ammiratore di Giorgio Napolitano) avevano messo gli occhi sul partito di Berlinguer. Avevano pensato di raggiungere un doppio scopo: quello di staccare in maniera netta il Pci da Mosca e farlo passare senza tentennamenti allo schieramento d’Occidente, e quello di liquidare la corrotta e ambigua classe dirigente italiana, specialmente della Dc e dei socialisti di Craxi dopo lo scontro di Sigonella, quando Craxi schierò i mitra dei carabinieri contro i Seal americani rifiutando di consegnare i terroristi che avevano sequestrato la nave Achille Lauro uccidendo il cittadino ebreo americano Leon Klinghoffer.
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A questa operazione partecipò l’attuale consigliere e avvocato di Donald Trump, Rudolph Giuliani, che all’epoca era uno dei principali procuratori prima di essere il sindaco di New York durante l’attacco alle Torri Gemelle dell’11 Settembre 2001. Anche Giovanni Falcone frequentava il gruppo americano per le operazioni anti Cosa Nostra e insieme alle teste d’uovo della Central Intelligence Agency. Come hanno documentato Paolo Mastrolilli e Maurizio Molinari in L’Italia vista dalla Cia, 1948-2004, la potente macchina dell’Intelligence americana era favorevole al Compromesso Storico promosso dallo stesso Enrico Berlinguer che in una clamorosa intervista al Corriere della Sera annunciò di «sentirsi più al sicuro sotto l’ombrello della Nato». L’operazione sarebbe dovuta scattare installando il garante degli alleati, Aldo Moro, al Quirinale per guidare l’operazione che però non andò in porto perché Moro fu invece rapito con una straordinaria operazione da commandos, fu interrogato per quaranta giorni e poi assassinato. Berlinguer aveva subito a sua volta un attentato mascherato da incidente in Bulgaria e la sua improvvisa morte nel giugno del 1984 destò più di un sospetto nel suo entourage. Il Pci restò così a metà del guado fra Est e Ovest senza avere la forza per completare il tragitto iniziato da Berlinguer che aveva già sostituito la Rivoluzione d’Ottobre – che aveva «ormai perso», disse, «la sua spinta propulsiva» con l’ideologia della “questione morale” che si ispirava più a santa Maria Goretti, simbolo cattolico dell’onestà senza compromessi, che alla presa del Palazzo d’Inverno. Quando cadde il sistema sovietico e Achille Occhetto cambiò in corsa nome e ragione sociale del partito (miracolosamente uscito indenne dalla tempesta perfetta) candidandosi a raccogliere l’eredità dell’operazione “Clean Hands”, scattò alla disperata la contromisura di Silvio Berlusconi con la sua alleanza impossibile tra destre e moderati per impedire l’insediamento del Pci nella stanza dei bottoni. Ma già allora nella sinistra italiana serpeggiava un boato allarmato: gli inglesi avevano in mano un dossier russo, in cui si svelava sia l’ala filosovietica del Pci, sia quella ormai da molto tempo collegata agli americani, sicché scoppiò all’interno della sinistra un enorme putiferio che portò dopo qualche anno ad una Commissione d’inchiesta, ma questo è un altro capitolo della nostra storia.
