Dopo le misure adottate dal Governo dei primi di Marzo i servizi socio educativi sono stati fermati progressivamente in tutta Italia. Servizi come i laboratori di Educativa territoriale, poli territoriali per la famiglia, centri polifunzionali come i semiconvitti, il progetto di inclusione e integrazione scolastica di minori Rom, Sinti e Caminanti nel momento della crisi hanno smesso di funzionare. E con essi centinaia di educatori hanno interrotto le attività e non percepiscono reddito. Non tutti perchè ogni regione ha avuto la libertà di rimodulare il lavoro di alcuni. A Napoli questi servizi sono fermi da due mesi. A denunciarlo un gruppo di educatori che, non avendo alcun sindacato, si sono raccolti intorno alla sigla E.C.O, Educatori Consapevoli organizzati: “Ci hanno tagliato lo stipendio, ci costringono a stare con le mani in mano mentre il nostro lavoro serve soprattutto in questo momento, molti di noi sono rimasti senza lavoro. Eppure i fondi ci sono. Vogliamo tornare a fare il nostro lavoro, rimodulando i modi”, dice Emiliano Schember, educatore dell’educativa territoriale della Muncipalità1 del Comune di Napoli.
Il mondo degli educatori è un folto gruppo di persone che lavora nel privato sociale: il pubblico solitamente appalta a privati, associazioni, cooperative la gestione di servizi socio- educativi. Queste associazioni poi definiscono i contratti con gli educatori che spesso sono a prestazione e comunque sempre soggetti all’arrivo dei fondi, al bello e cattivo tempo delle amministrazioni. Ma si tratta di un lavoro che non può essere sospeso, lasciando centinaia di bambini in difficoltà senza i loro punti di riferimento. Per cui spesso capita che gli educatori, amanti del loro lavoro e consapevoli dell’importanza della loro figura per tanti bambini, continuino a lavorare senza stipendio, in attesa di un momento migliore. Con lo stop dell’emergenza Covid il lavoro degli educatori è stato fermato. “Non si capisce perché noi non possiamo ragionare come gli insegnanti, rimodulando il nostro lavoro a seconda delle esigenze. Invece gli educatori sono stati esclusi dall’applicazione dell’articolo 48 del DL “Cura Italia”, quello che prevede di rimodulare servizi sull’emergenza, e costretti a casa. O meglio era possibile rimodulare l’attività solo per i servizi dai 0 ai 6 anni. Quindi agli asili. Tutti gli altri servizi socio-educativi come il mio che è da 6 a 16 anni non erano contemplati. E poi si faceva riferimento ai fondi ordinari quando queste attività non sono finanziate dai comuni ma da fondi por e pac e altri di questo tipo”. Una esclusione grave se si considera che in Italia l’assistenza socio-educativa ricade su circa 200mila persone. A Napoli sono circa 600 gli educatori che agiscono ogni giorno su 6mila minori.
Il Comune di Napoli ha proposto una rimodulazione del contratto con un taglio di ore di lavoro da svolgere che significa meno servizio e meno reddito per gli operatori. In alcuni casi il servizio è sospeso quindi con operatori rimasti senza lavoro o almeno in attesa di capire le loro sorti. Emiliano spiega che la situazione degli educatori napoletani è simile a tutta Italia. Anzi, al Nord questo genere di rivendicazione è iniziata prima perché lì i servizi si sono fermati prima. “Con le dovute differenze da territorio a territorio – spiega Emiliano – Il lavoro che noi facciamo con i bambini magari ad esempio a Bologna non esiste. Lì gli educatori lavorano nella scuola cosa che a Napoli non avviene di frequente. Altra differenza è che al Nord sono presenti grandi strutture, con cooperative con 500 o 1000 dipendenti, al Sud le strutture sono medio piccole. Una differenza sostanziale se si pensa alla capacità degli enti di sostenere momenti di vuoto economico o richiedere anticipi alle banche per corrispondere stipendi o portare avanti le attività”.
Il gruppo di educatori è in confronto costante con l’assessore al Lavoro e alle Politiche Sociali del Comune di Napoli per trovare una soluzione. Il Comune propone agli enti che erogano servizi socioeducativi un taglio netto del 20% sul costo del lavoro, che solo nei Laboratori di Educativa Territoriale manderà a casa 52 operatori, lasciando intatti invece i costi di gestione per gli enti (affitti, utenze,…). “A differenza degli altri comparti lavorativi, per noi i fondi già ci sono, già sono stati stanziati e messi nei bilanci. Quello che noi tutti chiediamo alle amministrazioni locali è di sbloccare questi fondi: invece di darci gli ammortizzatori sociali, fateci rimodulare i progetti e noi torniamo a lavoro con lo stipendio che è già stato finanziato. Perché dobbiamo gravare sugli ammortizzatori sociali quando i nostri progetti già sono finanziati? Dove andranno a finire quei finanziamenti?”. Emiliano non si spiega il perché di questa decisione, considerato anche che la fascia d’età di ragazzi che segue sono quelli maggiormente in difficoltà a giostrarsi in questo periodo di crisi. Anche la didattica on-line è complicata da gestire, per mancanza di mezzi e competenze delle intere famiglie. “Mai come in questo periodo potremmo essere davvero utili con il nostro lavoro”, dice. Intanto gli educatori sono fermi da 2 mesi in attesa che la loro situazione si chiarisca.
