Al girone di andata, la separazione delle carriere ha già in tasca il proprio primo traguardo. Con l’approvazione del nuovo articolo 102 della Costituzione al Senato si è arrivati al cuore della riforma, che introduce il concetto di “distinte carriere di magistrati requirenti e giudicanti”. Saranno sempre magistrati, sia quelli che accusano che gli altri che dovranno giudicare, ma le loro strade non potranno mai intersecarsi. Così, se dovesse capitare, a riforma compiuta, che un certo procuratore, magari un calabrese di stanza a Napoli, andrà in tv a tenere “lezioni sulle mafie”, il cittadino saprà che quello non è e non sarà mai un giudice.
Ma è un signore che nel processo potrà portare solo un’ipotesi o un teorema, perché è solo una delle parti, e la sua parola, mentre discetta di mafie o di altro, non è d’oro né d’argento, ma vale tanto quanto quella della parte a lui contrapposta, quella della difesa. È un fatto culturale, e la strada per arrivare a questa trasformazione del pensiero non sarà breve, ma sarà importante. E accadrà. Lo si può verificare dai toni sgrammaticati e poco istituzionali con cui i contro-riformatori, dentro e fuori il Parlamento, aggrediscono non solo la riforma, ma addirittura i suoi promotori. Così il senatore del Pd Francesco Verducci, durante la discussione in aula, non soddisfatto per la presenza in rappresentanza del governo, del numero due alla giustizia, il viceministro Francesco Sisto, invocava il fantasma di Carlo Nordio, accusandolo di voler “portare a casa lo scalpo della magistratura” e di “inaccettabile bullismo istituzionale contro i magistrati”.
Linguaggio e contenuti concorrenziali con un grillismo ormai diffuso quando si parla di giustizia. Ma il cammino della riforma è ormai tracciato, come la stradina nel bosco segnata dai chicchi di riso delle favole. Non appena sarà completato la prossima settimana l’articolato nelle votazioni della prima lettura del Senato, inizierà la seconda fase, come previsto per le riforme costituzionali, alla Camera e infine di nuovo al Senato per la quarta e definiva approvazione. Superata la fase più tecnico-giuridica, si aprirà la stagione dello scontro politico. Se qualcuno immagina che i protagonisti saranno soprattutto i partiti, vuol dir che sta sottovalutando la potenza d’urto organizzativa della magistratura militante. Abbiamo già visto sui social la prima fase della comunicazione con cui il sindacato delle toghe ha diffuso uno spot, senza offesa un po’ elementare e patetico, per spiegare al colto e all’inclito il funzionamento del processo. Ma siamo solo all’antipasto.
Perché, dopo la definitiva approvazione della norma, con un voto di cui si dà per scontato non possa raggiungere la quota dei due terzi, si dovrà dare la parola agli elettori con il referendum confermativo previsto dalla Costituzione. E sarà quello il momento in cui i toni si faranno ancora più accesi. E allora il ministro Nordio, ma anche la presidente Meloni e tutto quanto il governo e la maggioranza parlamentare, si troveranno di fronte lo squadrone armato delle toghe militanti. I partiti delle sinistre saranno solo reggicoda o al massimo comprimari del sindacato dei magistrati. Si immagina sarà la primavera del 2026 il momento dello scontro più acceso. Sarà una vera campagna elettorale, tutta politica, anche perché, un po’ sottotraccia, si intuiscono speranze più alte. Lo si intuisce dalla lettura dei giornali di riferimento.
In particolare il Manifesto, il quotidiano comunista che fu della garantista Rossana Rossanda e di un direttore come Luigi Pintor che scrisse un famoso editoriale sui procuratori intitolato “I Mostri”, pare dare suggerimenti e suggestioni. Se l’ultimo sondaggio conosciuto, del mese di giugno, condotto dall’Eurispes, dà in vantaggio i favorevoli alla riforma, ecco insinuare il dubbio che forse la famosa forchetta elettorale potrebbe essere piccola piccola. E la vera speranza è che il referendum sin possa trasformare in un sondaggio sulla popolarità non della magistratura, oggi a quota sottozero, ma dello stesso governo. E magari potrebbe capitare quel che successe a Matteo Renzi nel 2016 con la bocciatura della sua riforma costituzionale ma anche con la caduta dell’esecutivo. Così sognano. Ma il girone di andata intanto è vinto dalla riforma.
