La vocazione degli insegnanti, scrive Maria Zambrano, “è ciò che ha portato al mondo cose nuove, parole mai dette prima, pensieri mai pensati, chiarezze nascoste, sentimenti che giacevano nel cuore che hanno avuto il diritto di esistere”.
La tragica, sconvolgente vicenda della uccisione di Giulia Cecchettin ha, prevedibilmente, dato il via al solito, caotico rumore di fondo che tra le varie sfumature finisce sempre per riguardare e coinvolgere le scuole e l’educazione.
D’altronde secondo un abusato slogan femminista affrescato anche sulle mura cittadine, non bisogna lanciare il messaggio di protezione della propria figlia, ma quello della educazione dei propri figli: la prospettiva è piuttosto chiara, la solita colpevolizzazione ontologica del maschio in quanto tale, affettata e tranchant e che evita di spiegare per quale motivo le due cose, protezione ed educazione, non possano invece tenersi insieme.
Negli ultimi anni si è fatto un abuso disdicevole della parola stessa “educazione”, declinata in chiave quasi punitiva come minaccia di rieducazione.
Davanti qualunque disfunzione, qualunque fatto violento, qualunque aspetto dell’esistenza spigoloso o in apparenza incomprensibile, le istituzioni educative sono state chiamate in causa con moto quasi pavloviano e con riflesso burocratizzante.
La superfetazione concettuale di materie da inserire nei programmi è diventata la comoda foglia di fico dietro cui celare tutti i sensi di colpa di un mondo che va da decenni alla deriva e che ha smarrito la sua bussola.
La vocazione dell’insegnamento
Educazione civica, educazione sessuale, educazione affettiva, un profluvio torrenziale di istituzionalizzazione pulviscolare di ambiti che esistono nei fatti solo nelle circolari burocratiche e che al contrario non rappresentano altro che sfumature di ciò che nel suo complesso dovrebbe essere educazione, senza aggettivazioni ulteriori. La verità dei fatti è che escogitare insegnamenti per mere motivazioni contingenti è rieducazione, non educazione.
È presa d’atto di quanto la trasmissione del sapere sia ormai così parcellizzata, inquinata dal lessico burocratico, figlia delle norme e non delle interazioni sociali e della produzione della cultura, da essere divenuta stanco rituale di una religione defunta.
Ad essere venuta meno è la stessa vocazione all’insegnamento; molti docenti si approcciano alla loro lezione con lo spirito di servizio di un qualunque burocrate, trascorrono il tempo in aula come un impiegato disperso nelle viscere di un Ministero, sul fronte di classi spesso riottose ed ostili. Un tempo, l’insegnamento, come pure altre professioni, non era solo lavoro ma vocazione, una vocazione forte che animava chi praticava questa arte, nei termini sapienziali delineati dalla Zambrano.
Gli insegnanti perdono autorità
E mentre la scuola si avvita da anni in una crisi che origina dalla perdita di riconoscimento di autorità degli insegnanti, una autorità spesso svuotata dall’interno proprio da molti docenti che intraprendono questa professione solo per mancanza di alternative migliori, la famiglia si è andata dissolvendo nella più tetra delle cupio dissolvi.Indebolita, criminalizzata, strangolata dall’avanzata di una sfera pubblica che vuole mettere voce su tutto, infiacchita concettualmente dalla destrutturazione filosofica della sua stessa esistenza, la famiglia non è più corpo intermedio e cinghia di trasmissione di valori e educazione, ma mera produzione di genitori-amici capaci solo di esaudire supinamente i desideri, spacciati per diritti, dei loro figli e magari pagare loro l’avvocato per evitare la bocciatura o la sospensione. Davvero qualcuno pensa che per combattere la violenza contro le donne sia sufficiente istituire l’ennesima materia e poi stancamente lasciarla vagare sui registri di istituto e in vuote lezioni proposte da docenti la cui unica preoccupazione è non finire denunciati dai genitori o picchiati dai loro studenti? Qualunque materia, se insegnata come educazione vera comanda e nel giusto contesto di apprendimento e di autorità, può aprire le menti dei giovani al mondo, alla vita e far loro comprendere quanto fallace e debole sia l’esercizio della violenza. Contro le donne e contro chiunque.
