L’Europa stoppa i colloqui sui migranti a causa del niet di Ungheria e Polonia: gli alleati sovranisti della Premier danneggiano l’Italia

La notizia è dell’altro ieri sera e non è una sorpresa per gli addetti ai lavori: la commissione del Parlamento Europeo che sta valutando i nuovi regolamenti del Patto per le migrazioni e l’asilo ha deciso l’altro ieri di sospendere il cosiddetto “trilogo”, cioè la serie dei colloqui Parlamento-Commissione-Consiglio Europeo per arrivare al testo definitivo. La notizia è stata confermata al Riformista dall’europarlamentare italiano Pietro Bartolo, che della commissione LIBE è vicepresidente.

I punti su cui non si è trovato l’accordo sono i due su cui il Consiglio Europeo sta trovando più difficoltà a far quadrare il cerchio e cioè a raggiungere quella dannata unanimità che è purtroppo il criterio di funzionamento del parlamentino dei governi nazionali a Bruxelles: un primo file è quello relativo alle impronte digitali (Eurodac), il secondo – ben più complesso – riguarda la gestione delle crisi migratorie e cioè quegli eventi migratori eccezionali che incidono su un Paese membro, che è esattamente ciò che sta succedendo da qualche settimana nell’isola di Lampedusa.

Le difficoltà sono sempre le solite tristemente già note: dentro il Consiglio Europeo vi sono alcuni Paesi che si oppongono strenuamente ai nuovi regolamenti approvati a maggioranza a giugno, soprattutto – ma non solo – nella parte in cui vengono modificati i meccanismi del tristemente noto trattato di Dublino e viene previsto un vero e proprio obbligo per i Paesi membri ad accogliere una quota di migranti o, in mancanza, a contribuire economicamente con una cifra non piccola, pari a 20.000 euro, per ogni migrante non ricollocato.

La norma a giugno era stata votata a maggioranza in Lussemburgo dal Consiglio dei ministri degli interni dell’Unione. Indovinate chi furono i contrari? Oltre all’astensione di Malta, Slovacchia, Lituania e Bulgaria, a votare no furono Ungheria e Polonia, guarda caso due Paesi amici del governo italiano e governati da partiti aderenti allo stesso gruppo ECR, quello dei conservatori presieduto da Giorgia Meloni.

Il Parlamento ha sostanzialmente preso atto dell’impossibilità di portare avanti i colloqui, anche alla luce del referendum sul nuovo accordo europeo che il presidente polacco Andrzej Duda ha temerariamente convocato il giorno stesso delle elezioni nazionali previste il 15 ottobre prossimo: un tentativo maldestro ma dalle discrete possibilità di successo, assai criticato a Varsavia e ancor più a Bruxelles, per provare a condizionare l’esito delle elezioni stesse e drenare consenso al proprio partito sovranista.

Proviamo a ricapitolare mettendo gli eventi in fila. A giugno si approva il nuovo regolamento che prevede l’obbligo di accogliere i migranti con un meccanismo di solidarietà tra tutti i paesi dell’Unione o, in mancanza, una cospicua compensazione economica. Giorgia Meloni esprime in più occasioni la sua soddisfazione per quella che non esita a definire “una svolta” nella gestione europea dei migranti. L’altro ieri – dopo giorni in cui sull’isola di Lampedusa abbiamo assistito a record di sbarchi di migranti – i colloqui sono stati sospesi per l’incapacità manifesta da parte del Consiglio di trovare un accordo unanime, a causa del niet di Polonia e Ungheria, cioè di due Paesi amici della nostra Premier. Un ennesimo “grande successo” per la politica europea ed estera di Giorgia Meloni, non c’è che dire: anziché prendersela con i droni della Francia o i blocchi austriaci, anziché organizzare passerelle inconcludenti a Lampedusa, la nostra premier dovrebbe risolvere i problemi di “fuoco amico” che ha coi suoi amici ungheresi e polacchi, da cui sta subendo un vero e proprio voltafaccia proprio ora che oggettivamente ci stavamo avviando verso il superamento del perverso meccanismo di Dublino. Il vero dramma è che di questo fuoco amico patisce le conseguenze tutta Italia, paese di una frontiera europea sulla quale siamo lasciati drammaticamente soli.