L’ex Ilva non è morta, è stata assassinata: gli ideologismi malati che hanno violentato il dibattito politico

Foto Mauro Scrobogna /LaPresse 20-12-2023 Roma - Politica - ILVA, incontro del Governo con i sindacati metalmeccanici - Nella foto: presidio dei lavoratori dell’IVA Taranto davanti a Palazzo Chigi in attesa dei rappresentanti sindacali al tavolo con il Governo December 20, 2023 Roma - Politics - ILVA, meeting of the Government with the metalworking unions - In the photo: demonstration of the Taranto VAT workers in front of Palazzo Chigi waiting for the union representatives at the table with the Government

Potremmo spingerci anche a creare un neologismo: l’ex Ilva è stata vittima di un ‘’opificidio’’. Gli esecutori materiali del crimine sono tanti, colpevoli di commissioni o di omissioni. Ma i mandanti sono stati gli ideologismi malati che di volta in volta hanno violentato il dibattito politico, imponendosi come unica linea di condotta ‘’politicamente corretta’’.
Al momento del sequestro giudiziario, l’Ilva era il più grande stabilimento siderurgico d’Europa; i suoi laminati servivano tutta l’industria manifatturiera nazionale. A Taranto l’acciaieria rappresentava il 75% del Pil di quel territorio e il 76% della movimentazione del porto. Per il solo approvvigionamento delle materie prime dell’Ilva approdavano nel porto, annualmente, ben 1300 navi. L’85% dei prodotti Ilva transitava per il porto. In sostanza, tra occupazione diretta ed indiretta, 20mila famiglie, solo a Taranto, dipendevano dall’Ilva.

L’Agenzia dell’ambiente della Puglia aveva certificato che i parametri dello stabilimento di Taranto erano nella norma e di conseguenza il management era adempiente. Occorreva inventarsi un pretesto per rovesciare la verità. L’allora governatore della Puglia Nichi Vendola fu accusato di aver fatto pressione sul presidente dell’Agenzia perché ammorbidisse il parere di conformità. Da decenni – ecco un problema chiave – le tecnologie di produzione industriale nella UE sono stabilite sulla base degli obiettivi di protezione della salute identificati a livello europeo d’accordo con l’OMS. Ma, nello stabilire questi parametri, gli obiettivi di risanamento ambientale devono essere compatibili con altre esigenze riguardanti i diversi settori produttivi, come i problemi di ammortamento degli impianti, delle risorse da investire, di coordinamento tra i diversi Paesi. Soprattutto, i sistemi produttivi hanno necessità di avere dei riferimenti precisi ai quali attenersi per essere in regola.

Ma il cambiamento procede per gradi sulla base di regole uniformi che diventano di volta in volta non l’indicatore di una sicurezza assoluta, ma uno standard sostenibile e progressivo a cui attenersi in un quadro di certezza del diritto. Nel caso dell’ex Ilva la magistratura non volle mai limitarsi ad accertare se lo stabilimento avesse rispettato le norme vigenti e ottenuto le autorizzazioni previste dagli organi preposti alla vigilanza; poiché le emissioni inquinavano dovevano essere eliminate secondo il principio criminale del iustitia fit, pereat mundus.
Dello stabilimento si occuparono ben due procure che – tanto per aumentare la confusione – giunsero a valutazioni diverse ed impartirono direttive opposte. Poi all’invadenza della magistratura e all’ambientalismo scatenato si aggiunse – con il governo Conte 1 – l’operato della ‘’banda degli onesti’’, proprio quando si stava perfezionando l’ingresso di Arcelor-Mittal. Il superministro Luigi Di Maio formulò, a vanvera, gravi sospetti di illegittimità in occasione di una comunicazione urgente alla Camera. Resta, poi, incomprensibile la guerra dichiarata ad Arcelor Mittal fin da quando fu negato ai suoi manager quello ‘‘scudo penale’’ riconosciuto prima agli amministratori straordinari poi a quelli che subentreranno nella gestione.

L’avvenuta soppressione dello scudo penale fu afferrato al volo da Arcelor Mittal per svincolarsi dagli impegni assunti con il governo; ma non era certamente un problema secondario di cui, in quel contesto, qualsiasi gestore degli impianti avrebbe potuto fare a meno. “Qualcuno investirebbe 3,6 miliardi – si chiese un bravo sindacalista come Marco Bentivogli – in uno stabilimento in cui è ancora sotto sequestro giudiziario l’area a caldo?”. Per tutta la XVIII legislatura la questione dell’ex Ilva– anche durante il governo Draghi – è rimasta in balia dei suoi carnefici. Dopo la vittoria della destra, si pensava che tante ubbie sarebbero venute meno. Sbagliato. Il ministro Urso si è incaricato di liquidare del tutto Arcelor-Mittal e si è messo alla ricerca di acquirenti propensi a produrre acciaio pulito. Anche se l’operazione dovesse riuscire, i livelli produttivi del nuovo stabilimento non consentiranno l’impiego di tutti gli attuali occupati. Si prepara allora – come per l’Alitalia – un regime speciale di cassa integrazione per gli esuberi. Non si uccidono così anche i cavalli?