"Non sono un mafioso, Cosa Nostra la conosco dai giornali"
L’interrogatorio di Messina Denaro: “Da latitante giocavo a poker, mi avete preso per la malattia. A Campobello dovete arrestare 3mila persone…”
Da una parte le condizioni di salute sempre più gravi, stando alla denuncia del suo legale e al ricovero delle scorse ore in ospedale, dall’altra le parole rilasciate ai magistrati di Palermo nel suo primo interrogatorio i cui verbali sono stati depositati oggi. Matteo Messina Denaro, 62 anni, considerato l’ultimo capomafia di Cosa Nostra è stato arrestato il 16 gennaio scorso (dopo una latitanza trentennale) all’esterno di una clinica privata del capoluogo siciliano dove si recava da qualche anno per sottoporsi alle chemioterapie dopo la diagnosi di tumore al colon.
Ai magistrati della procura palermitana, che lo hanno interrogato il successivo 13 febbraio, Messina Denaro ha negato qualsiasi tipo di legame con la mafia, rilasciando anche parole di sfida: “Non voglio fare il superuomo e nemmeno l’arrogante, voi mi avete preso per la mia malattia“. L’ex primula rossa ha spiegato che per tanti anni ha vissuto lontano dalla tecnologia perché consapevole che sarebbe stato un punto deboli. Poi ha citato addirittura un proverbio ebraico dopo che è stato catturato nella zona dove ha sempre vissuto: “Se vuoi nascondere un albero piantalo in una foresta” precisando che “ora che ho la malattia e non posso stare più fuori e debbo ritornare qua…”, allora – ha raccontato – mi metto a fare una vita da albero piantato in mezzo alla foresta, allora se voi dovete arrestare tutte le persone che hanno avuto a che fare con me a Campobello, penso che dovete arrestare da due a tremila persone: di questo si tratta”.
Arrestato sotto il falso nome di Andrea Bonafede, il boss ha precisato che in paese in pochi conoscevano la sua vera identità. “A Campobello mi sono creato un’altra identità: Francesco”. “Giocavo a poker, mangiavo al ristorante, andavo a giocare”. Con i pm si è anche lamentato del reato di concorso esterno in associazione mafiosa in riferimento proprio ad Andrea Bonafede, l’uomo accusato di essere un mafioso e di aver prestato al boss la sua identità: “Il mafioso riservato è tipo un altro argomento di legge, se vogliamo dire, farlocco, come il ‘concorso esterno’, io preferirei, se fosse una mia decisione: tu favorisci… il favoreggiamento prende da 4 a 5 anni, se favorisci un mafioso sono 12 anni; meglio così: si leva il farlocco di torno”.
“Non sono un mafioso, Cosa Nostra la conosco dai giornali”
“Una cosa fatemela dire. Forse è la cosa a cui tengo di più. Io non sono un santo…ma con l’omicidio del bambino non c’entro”, in riferimento all’omicidio del piccolo Giuseppe Di Matteo, il figlio del pentito rapito e sciolto nell’acido.
Sul suo rapporto con la mafia ha provato a chiarire: “Io mi sento uomo d’onore ma non come mafioso. Cosa nostra la conosco dai giornali. La mia vita non è stata sedentaria, è stata una vita molto avventurosa, movimentata”, ha detto ammettendo la latitanza e di aver comprato una pistola, ma di non averla mai usata e di non aver fatto omicidi e stragi. “E lei non ha mai avuto a che fare Cosa nostra?”, gli chiedono i magistrati. “Non lo so magari ci facevo affari e non sapevo che era Cosa nostra”, risponde, ribadendo che “con stragi e omicidi non c’entro nella maniera più assoluta. Poi mi possono accusare di qualsiasi cosa, io che ci posso fare”.
Sull’audio dove offende Falcone in riferimento al traffico ‘provocato’ dalla commemorazione della strage di Capaci: “Io non è che volevo offendere il giudice Falcone, non mi interessa… Il punto qual è? Che io ce l’avevo con quella metodologia di commemorazione. Allora, se invece del giudice fosse stato Garibaldi, la mia reazione sempre quella sarebbe stata, perché non si possono permettere di bloccare un’autostrada per decine di chilometri: cosi vi fate odiare”.
Infine definisce il padre, Francesco Messina Denaro, un mercante d’arte. “Vivo bene di mio, di famiglia. Mio padre era un mercante d’arte. Io sono appassionato di storia antica da Roma a salire – racconta il capomafia ai magistrati – poi mio padre era mercante d’arte e dove sto io c’è Selinunte (sito archeologico del trapanese ndr). Mio padre non è che ci andava a scavare però a Selinunte a quell’epoca c’erano mille persone e scavavano tutte. In genere il 100% delle opere le comprava mio padre che poi venivano vendute in Svizzera e poi arrivavano dalla Svizzera dovunque: in Arabia, negli Emirati e noi vedevamo cose che passavano da mio padre nei musei americani”.
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