Lo sciopero e le richieste “fuori mercato”: pace, salari più alti e no alla repressione, gli sfasciacarrozze pro-Hamas paralizzano l’Italia

Lavoratori e studenti partono in corteo contro la guerra e l'aumento delle spese militari e si dirigono verso la sede della Leonardo in corso Francia. Torino, Italia - Venerdì, 20 giugno 2025 - Cronaca - Foto Andrea Alfano / LaPresse Workers and students demonstration against war and the increase of militar marching to Leonardo headquarter in corso Francia. Turin, Italy - Friday, 20 June 2025 - News - Andrea Alfano / LaPresse

Il diritto di sciopero è costitutivo di una democrazia. Il suo esercizio è un presidio di libertà, pur nell’ambito delle leggi che lo regolano (come sancisce l’articolo 40 della Costituzione), che devono avere il carattere delle soft law. In Italia gli unici interventi legislativi – preceduti da codici di auto regolamentazione dei sindacati stessi – si prefiggono di trovare un punto di equilibrio nei servizi pubblici essenziali tra diritto di sciopero dei lavoratori interessati e il diritto dei cittadini di usufruire dei beni e delle prestazioni ritenute indispensabili per la loro vita civile. Questo equilibrio viene ricercato nelle modalità di esercizio dello sciopero in quei servizi e in quei settori e apparati produttivi che devono sempre essere disponibili e gestiti in condizioni di sicurezza.

Per garantire il rispetto di queste regole è istituita una specifica Authority, che svolge funzioni di vigilanza, di controllo impartendo le relative prescrizioni. Espletate le procedure previste, lo sciopero è legittimo. Ovviamente – come per tutti gli eventi – è consentito un giudizio di merito su uno sciopero, sulle sue motivazioni e sui promotori. Summum ius, summa iniuria, si è svolto nel settore dei trasporti (proclamato dai sindacati di base) l’ennesimo «sciopero del venerdì» trainato dalla prospettiva di un weekend più lungo. Certo, non sarebbe stato opportuno indicare un obiettivo vacanziero: così è stato contrabbandato un elenco di rivendicazioni propagandistiche che mescolano problemi diversi tra loro, per la soluzione dei quali uno sciopero generale nei trasporti in Italia – promosso da sindacati di minoranza al solo scopo di «farsi riconoscere» – non avrà alcuna influenza, ammesso e non concesso che tali rivendicazioni abbiano un minimo di validità anche solo teorica e astratta.

I lavoratori sono stati chiamati a lottare «contro il genocidio in Palestina, la fornitura di armi a Israele e l’assenza di un intervento concreto per dissociarsi dagli orribili crimini perpetrati dal Governo di Israele; contro la guerra, l’economia di guerra e l’aumento delle spese militari, in aggiunta di 40 miliardi di euro già previsti per il triennio in corso». Richieste molto dettagliate che poi sono le stesse di Hamas, nonché quelle alla base della manifestazione di oggi a Roma, magari con l’aggiunta di una lisciatina alla barba degli ayatollah. Nel caso della «pace anche nel conflitto Russia-Ucraina», invece, la piattaforma è molto sbrigativa, tanto che manca ogni aggettivo qualificativo di questa «pace», perché ai promotori va bene purchessia.

Quanto all’elenco delle rivendicazioni di contenuto economico/sociale, vige il principio del melius abundare: investimenti su sanità, scuola, trasporti, welfare, il cui peggioramento approfondisce le disuguaglianze esistenti e la povertà; contro lo sfruttamento sul lavoro, la precarietà e il contenimento delle retribuzioni sia in sede di rinnovo dei contratti del settore pubblico sia del settore privato, a opera di organizzazioni sindacali che sottoscrivono intese impopolari e spesso senza sottoporle all’approvazione dei lavoratori. Si passa, poi, ai «forti aumenti salariali e delle pensioni, comprese le minime a 1.000 euro al mese e il superamento del sistema contributivo, così da permettere di recuperare il potere di acquisto eroso dall’inflazione, per l’approvazione di una misura di salario minimo non inferiore a 12 euro l’ora e per la reintroduzione di un meccanismo di adeguamento delle retribuzioni all’andamento del costo della vita». Allegria!

Infine, il botto finale: «Contro l’assenza di politiche sociali, a cominciare dall’emergenza abitativa e la mancanza di piani di sviluppo dell’edilizia popolare, per una seria riforma degli ammortizzatori sociali; contro l’assenza di politiche industriali capaci di superare la fase di forte conflittualità, innescando un processo di ulteriore deindustrializzazione e sfruttamento delle classi popolari e dei lavoratori; contro la scelta autoritaria in materia di leggi repressive del dissenso e del conflitto sociale; contro le morti sul lavoro; contro la legge “Sbarra” con cui il Governo tenta di scaricare sui lavoratori il rischio di impresa con gravi conseguenze su salari e condizioni di lavoro». Quest’ultimo passaggio è singolare: si riferisce alla legge sulla partecipazione che – a quanto pare – viene considerata una trappola per trasformare i lavoratori dipendenti in imprenditori falliti.

I cittadini rimasti a piedi alle fermate dei bus, o vaganti smarriti nelle stazioni alla ricerca di un treno, sono stati in balia del malcostume di avanzare richieste totalmente «fuori mercato» al solo scopo di esibire una maggiore radicalità nel conflitto sociale, attribuendo ai sindacati più responsabili una patente di moderazione rinunciataria. Purtroppo questa (sub)cultura ha attecchito, creando non pochi problemi ai sindacati tradizionali, i quali – per non perdere consenso – troppo spesso inseguono gli sfasciacarrozze sul loro terreno, senza interrogarsi sui motivi che hanno determinato la loro estromissione da questi delicati settori, in cui vantavano una storica egemonia.