Politica
I giovani lavoratori senza tutele sono i grandi assenti dalle agende sindacali
I sindacati sono invecchiati e hanno perso la loro capacità di plasmare la società. Si rivolgono a chi gode già di garanzie lavorative dimenticandosi dei “nuovi arrivati”

Da lavoratore, in questi anni, non ho mai incontrato il sindacato. Quando ero in consulenza, non ho mai visto un loro esponente. Eppure le società di consulenza si dovrebbero notare: sono le uniche che anche durante gli anni della crisi hanno assunto, spesso con orari proibitivi, senza straordinari, e paghe tendenzialmente basse.
Quando ero collaboratore parlamentare, ho scoperto che nel cuore della democrazia italiana c’è un grave problema giuslavoristico. I collaboratori alla Camera e al Senato sono figure fondamentali che, nell’ombra, contribuiscono a scrivere le leggi dello Stato. Tuttavia, spesso sono senza alcuna tutela, precari, come diverse inchieste giornalistiche hanno portato alla luce. Nessuno dei due rami del Parlamento (a parte l’ex Presidente della Camera, Roberto Fico) si è mai interessato alla vicenda. Appena entrato in un Ministero per uno stage non retribuito, i sindacati si battevano contro l’abolizione dell’abbonamento gratuito dei mezzi pubblici previsto per i dipendenti di quello specifico dicastero. Una battaglia lunare per chi, come me, pur con i titoli sopra citati non percepiva un Euro, ma sedeva affianco a un dipendente pubblico, entrato vent’anni prima con un concorso per diplomati, senza competenze specifiche, ma con tutele contrattuali di ogni sorta.
Oggi, il mondo è pieno di aziende della new economy che operano nel campo del food delivery, del turismo, del trasporto a chiamata. Hanno rovesciato i paradigmi classici del lavoro cavalcando l’illusione dell’uomo imprenditore di sé stesso, che invece si ritrova in nuove logiche di sfruttamento. Vi sono poi tanti praticanti avvocati, trattati come servi della gleba in studi di presunti santoni del diritto sempre pronti a biasimare la cattiva politica – dalla quale però ricevono prebende a carico dei contribuenti (perché si sa, il professore universitario fa molto “tecnico super partes”). O di baristi che servono cocktail spettacolari in nottate passate svegli lavorando senza tutele, o di dottorandi che tengono in piedi le università (che se fosse per i professori…) facendo esami agli studenti, scrivendo ricerche per conto di terzi, mettendo pezze a colori a non finire, alla pari dei medici specializzandi strizzati nei reparti come se fossero degli strutturati perché non si assume negli ospedali.
Sono esempi sparsi, ma tutti con un fil rouge: per queste categorie di giovani che sono all’inizio del loro percorso nel mondo del lavoro, il sindacato non esiste. Generazioni iper specializzate, che storicamente dovrebbero essere le più attente ai temi sociali, crescono senza cognizione dei loro diritti, dei loro doveri, in un’infinita guerra fra i cosiddetti nuovi poveri. Sembra sbiadita oggi quella energia plasmante della società che il sindacato perde ogni volta che si rifugia in sé stesso e non cerca nuovi lavoratori – e nuove menti – da tesserare. Ogni volta che si portano avanti rivendicazioni di retroguardia, novecentesche, mentre il mondo fuori è cambiato. Quella carica propulsiva che si spegne nel non capire che, in questa nuova lotta fra poveri, uno sciopero a settimana nei trasporti pubblici non è sostenibile, e ti allontana ancora di più soprattutto dai giovani, che usano quei mezzi per andare a lavorare nelle condizioni sopra elencate.
Quei ragazzi cui nessuno chiede mai un’opinione, che fuggono spopolando un Sud dove il lavoro è spesso ancora un favore per il quale ringraziare. Del resto, se le federazioni numericamente più folte all’interno dei sindacati sono quelle dei pensionati, e non quelle che rappresentano i lavoratori attivi, il discorso è falsato in partenza. Tutelando solo chi è storicamente già tutelato, specchiandosi nel passato e non guardando al futuro, il mondo del lavoro muore e, con esso, un’intera generazione.
© Riproduzione riservata