La manifestazione del 22 settembre
Lo sciopero per Gaza apre una nuova stagione: il nesso con la difesa dei diritti dei lavoratori non serve più
Lo sciopero può essere generale, settoriale, bianco, a singhiozzo, a scacchiera, persino a “gatto selvaggio”: di certo, si tratta di un diritto costituzionale, almeno in Italia. Non tutte le Costituzioni ne sanciscono la libertà assoluta, e in certi casi si prevedono limitazioni esplicite: in Germania, ad esempio, i dipendenti pubblici non possono scioperare.
Lo sciopero in Italia scivolato fuori dall’alveo costituzionale
L’articolo 40 della nostra Carta è esplicito ed essenziale: “Il diritto di sciopero si esercita nell’ambito delle leggi che lo regolano”. La norma è collocata nel titolo terzo (parte prima) della Legge fondamentale, quella che definisce i “rapporti economici”. Nel corso degli ultimi decenni, l’esercizio del diritto di sciopero è scivolato fuori da questo alveo costituzionale. Nei conflitti che definiscono i rapporti economici, tra lavoratori e datori di lavoro, lo sciopero è stato sempre meno esercitato: si sono trovate nuove e più efficaci forme di mediazione e di confronto, e la regolazione dei contratti di lavoro ha sempre più favorito un’efficiente collaborazione tra le parti. Oggi, in Italia, siamo sempre più chiamati a vedere scioperi indetti per ragioni “extra-economiche”. Nobili motivi, grandi questioni, che tuttavia entrano nel mondo dell’opinabile, della politica. Senza ripercorrere l’intero repertorio, basterebbe ricordare quello dello scorso anno – sciopero generale del 29 novembre proclamato da Cgil e Uil – contro la politica di riarmo, in Italia e in Europa. Per indire la protesta non mancarono le motivazioni che hanno provato ad agganciare l’invito all’astensione dal lavoro, per motivi politici generali (guerra, riarmo) con la condizione dei lavoratori: “Le guerre sono contro i lavoratori, che ne pagano in prima persona il prezzo umano ed economico”.
Lo sciopero ha sempre bisogno di una controparte
Lo sciopero ha sempre bisogno di una controparte, e costituzionalmente di una controparte economica. Il governo pro tempore è spesso indicato come questo soggetto al quale chiedere qualche atto che finisca per favorire i lavoratori, i loro diritti, la loro parte negoziale. I datori di lavoro sono sempre più sbiaditi, in questa evoluzione della “dialettica sindacale”. Sempre meno evocati, sempre più considerati come un soggetto contro cui non vale la pena tirare troppo la corda: alla nostra latitudine, il confronto tra le parti sociali, da decenni (almeno dagli anni Settanta), è diventato un educato confronto che non prevede settimane di sciopero, nemmeno giorni consecutivi. Meglio il venerdì e il lunedì.
Lo sciopero per Gaza apre una nuova stagione
Lo sciopero indetto tra venerdì 19 settembre (per iniziativa della Cgil) e ieri (per iniziativa dell’Usb) per certi versi apre una nuova stagione dell’esercizio del diritto di sciopero: i lavoratori italiani sono stati chiamati a scioperare per Gaza, per contrastare l’emergenza umanitaria nella Striscia, e contro “la complicità dei governi occidentali, Italia in testa”, per le violenze perpetrate dall’esercito israeliano contro i civili residenti. Lo sciopero diventa protesta – legittima, ovviamente – ma protesta politica, in senso stretto. Viene meno qualunque connessione con lo strumento di difesa dei diritti fondamentali dei lavoratori, per cui i Padri costituenti hanno redatto l’articolo 40 della Carta fondamentale. E viene meno ogni possibilità di riferimento alle “leggi che lo regolano” (che regolano il diritto di sciopero). La legge 146 del 1990, che prevede tra l’altro la costituzione della Commissione di Garanzia per lo Sciopero – l’autorità amministrativa indipendente, creata proprio per valutare la legittimità dell’astensione del lavoro – si àncora esplicitamente allo sciopero così come viene comunemente inteso: strumento di confronto tra le parti sociali.
“Su richiesta congiunta delle parti interessate, la Commissione può emanare un lodo sul merito della controversia”. Ma nel caso di uno sciopero per Gaza, che lodo potrà mai emanare la Commissione? Non solo: di fronte a uno “sciopero politico”, quali e quante sigle sindacali sono autorizzate a proclamare l’astensione dal lavoro? In questo caso si sono adoperate in due, in giorni distinti – Cgil e Usb – ma se una terza, o una quarta (o una quinta) organizzazione sindacale volesse promuovere un’analoga iniziativa, ne avrebbe titolo? Sempre e comunque? Mentre, secondo l’articolo 39 della Costituzione, la stipula dei contratti collettivi è affidata ai sindacati “in proporzione dei loro iscritti”, la proclamazione di uno sciopero è priva di qualunque riferimento circa la rappresentatività? Non sono questioni che mettono in secondo piano l’emergenza umanitaria, ma semplicemente propongono una riflessione che riguarda tutta la società civile. Una limitazione nel diritto di utilizzare i mezzi pubblici può essere proclamata legittimamente oggi contro Gaza, domani contro Putin, dopodomani contro Trump?
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