Luca Bizzarri: “Politici ridicoli e comici seri, oggi come 35 anni fa Genova-Milano si fa in un’ora e 45”

Luca Bizzarri è la voce irriverente di Genova. Con la sua finestra a DiMartedì, su La7, fotografa la politica italiana con una satira giornalistica, basata sulle dichiarazioni, le battute e le scivolate di politici sempre più comici. Liberale senza partito, mette a nudo l’inconsistenza di un’offerta politica.

La Liguria di oggi, alla vigilia della campagna elettorale, com’è?
«Io abito in un quartiere elegante di Genova, adesso. Il mio seggio elettorale è il seggio elettorale con più over 65 d’Italia. Essendo l’Italia uno dei paesi più anziani, direi d’Europa. Abbiamo un piccolo problema con i giovani: cosa rimangono a fare? A parte i figli dei notai che faranno i notai e i figli dei chirurghi che faranno i chirurghi, gli altri cosa faranno? Quelli che si pongono questa domanda se ne vanno, per trovare uno sbocco interessante».

Quelli che riescono.
«Ecco, quelli che riescono perché la logistica non è facile, dalle nostre parti. Anche andarsene presenta delle difficoltà».

Ma qualcosa è cambiato in Liguria con Toti, e a Genova con Bucci?
«Probabilmente bisogna aspettare qualche tempo per vedere dei risultati, al momento non ne ho visti molti. Bucci aveva vinto le elezioni da sindaco dicendo una cosa che a molti non era piaciuta: ‘Genova dovrà diventare la periferia di Milano’. A molti non era piaciuta, ma l’idea era andare da Milano a Genova in meno di un’ora e 45, il tempo che impiegavo io quando studiavo teatro a Milano e la sera tornavo a casa a Genova. Trentacinque anni fa. Sa oggi quanto ci vuole? Un’ora e 45. Quando si riuscirà a fare quel viaggio in 40 minuti, Genova si ripopolerà. Perché a molti converrà abitare a Genova e andare a lavorare a Milano. Oggi è impossibile».

Bisogna riunire Genova all’Italia…
«Sì. Dal punto di vista stradale, ferroviario, portuale e aeroportuale. Una città decisamente scollata dal Paese».

La politica, a partire dal piano locale, può contribuire a cambiare le cose?
«Sì, penso che soprattutto a livello locale la politica qualcosa può fare. Il tema è che la politica conta sempre meno a livello mondiale, dove quello che conta è semmai l’economia. Giovanni Toti e Marco Bucci non credo che abbiano fatto male. Per meglio dire: non credo ci consegnino una Regione e una città peggiori di come l’hanno trovata. E non sono nel mio cuore, come io non lo sono nel loro».

Esiste una Liguria del fare, del sì, del modello Genova contro una Liguria del no, che frena?
«Esiste un po’ in tutta Italia. Il modello riferito al ponte Morandi, caduto in una tragedia evitabilissima, è stato ricostruito saltando alcuni passaggi che però esistevano a garanzia della legalità. Però quel modello non è ripetibile».

Tu con la tua satira te la prendi con gli uni e con gli altri. Ma sono davvero tutti uguali?
«È vero che dire “sono tutti uguali” è una posizione qualunquista. Ma è altrettanto vero che nella comunicazione sono tutti molto simili. E c’è un livellamento verso il basso preoccupante».

Stanno diventando tutti influencer?
«Sì. Purtroppo non vedo troppe differenze, per fare un esempio, tra il profilo Twitter di Salvini e quello di Calenda. Non mi sembra che nella comunicazione differiscano, mentre poi magari nel fare politica le differenze ci sono. Però ormai fare politica è al 90% comunicazione».

Chiedo a te che sei un attento analista della politica, come dimostri con le tue incursioni televisive: il mondo del centro, Renzi, che ha sostenuto Bucci per anni, come fa a sostenere Orlando?
«Che il centro oscilli sta nella storia del centro. E sta nell’assenza, alla fine, di un centro. Ci sono centrini, più che un riferimento unitario. Io ho sempre votato radicale. E mi sono divertito a vedere cosa dovrei fare oggi per definirmi radicale: dovrei iscrivermi a tre o quattro partiti, cinque o sei associazioni… (le cita tutte) C’è questa frammentazione che con grande sprezzo del ridicolo veniva definita Galassia radicale, e che però è una galassia ridotta a pozzanghera. Purtroppo una delle cose che più mancano in Italia è un vero partito liberale, centrista. Una vera alternativa per chi è riformista, radicale, libertario oggi manca».

E se dovesse andare a votare oggi?
«Appunto, non saprei davvero chi votare. Il mio partito non lo trovo sulla scheda. Cosa dovrei fare, per prossimità… potrei finire per votare Forza Italia? Manca un partito che offra un’alternativa di centro credibile. E infatti l’elettorato si disperde».

Dicevi che la politica ha abdicato alla sua funzione, mentre è l’economia a guidare… Da cosa deriva?
«Quando vedi la più grande democrazia del mondo, come si è autodefinita quella americana, che finisce tra gli insulti:“Tu sei un rincoglionito”, “Tu ce l’hai piccolo”, capisci a che punto di caduta è la crisi. Che è insieme di idee e di leader».

Ha vinto McLuhan, alla fine? Il medium è il messaggio, e i contenuti sono finiti in secondo piano?
«Assolutamente, ha vinto lui. E avendo vinto la comunicazione è emerso il vizio vero dei politici, la vanità. Tutti vogliono farsi vedere senza rendersi conto di rendersi un po’ ridicoli».

Gli intellettuali e gli artisti hanno un ruolo? Possono spingere la società in una certa direzione?
«Non mi vedo tra gli intellettuali, e non so neanche se sono un artista. I comici hanno un ruolo. Sono gli unici a poter sfondare dei muri: quelli del politicamente corretto, per esempio. I comici sono gli ultimi a poter dire le cose come stanno, anche quando non sta bene dirlo».

Vero, lo diceva Dario Fo già negli anni Settanta, e poi Beppe Grillo proprio partendo da Genova.
«Il Movimento che ha creato Beppe Grillo, che è stato un gran disastro per la politica italiana, si poneva le domande giuste. Ma ha dato tutte le risposte sbagliate».

E tu hai pensato a fare politica?
«Non mi piacerebbe: la mia professione e quella del politico devono rimanere sempre molto ben distinte. Non sopporto né i politici che fanno battute come i comici né i politici che salgono sul palco con i comici. Preferisco che i due piani rimangano diversi, senza mai incrociarsi».

Come si diceva un tempo, “Una risata li seppellirà”?
«Probabilmente sì. C’è ancora questa forza della risata, lo dimostra anche il caso Sangiuliano. Che è caduto perché ha sfidato così tanto il senso del ridicolo che alla fine è caduto per quello. La pernacchia funziona ancora. E più ti prendi sul serio e provi a stare lontano dalle pernacchie, più ne attiri. Quella lettera che inviò a Geppi Cucciari era un capolavoro, diceva che non lo si poteva prendere in giro sulla cultura perché laureato in giurisprudenza…».

Il potere della risata è globale. Quando Trump al dibattito ha detto che gli immigrati mangiano cani e gatti, Harris ha risposto con una fragorosa risata. Che le ha dato dei punti.
«Non so se alla fine avrà guadagnato punti, ma la risata ha un potere forte. Quando vedo i video di Lollobrigida, le cose che dice Vannacci, io ringrazio. Devo scrivere un episodio al giorno, a volte mi basta vedere quello che dicono loro. Sono una miniera, spero non smettano mai… Il mio sogno è Vannacci presidente della Commissione europea: io nel fango ci sguazzo».

Sono sempre di più gli italiani che seguono te, o Crozza, e grazie a voi capiscono la politica.
«Non vorrei avere questa responsabilità, rimango quello con le orecchie d’asino in ultima fila. Ma è vero che uno sguardo disincantato sulla politica, e per quel che mi riguarda uno sguardo assente da pregiudizi, più sulla comunicazione che sulla politica, non ho bandiere. E prendo per il culo potenzialmente chi potrei votare. Perché tutti, anche quelli che voterei, hanno cadute di stile».

Se potessi dire una cosa alla politica, ai politici, tramite il nostro giornale?
«Chiederei loro: ma non ce l’avete un amico? Uno che ogni tanto vi dice basta, fermati, anche meno. Il problema è che forse un amico vero non ce l’hanno».