L’UE punta sul “green” ma la partita africana è sempre più difficile

In Africa si gioca una delle partite più importanti del futuro del mondo. L’Unione europea ne è consapevole, ed è anche per questo che la presidente della Commissione Ue, Ursula von der Leyen, è voluta intervenire al Summit africano sul clima di Nairobi. L’obiettivo è quello di dare un’immagine diversa dell’Europa. Non più un insieme di ex potenze coloniali, facile oggetto della propaganda di molti segmenti politici e militari africani ma anche di forze esterne, ma un blocco che vuole contribuire allo sviluppo del continente.

L’Africa ha bisogno di massicci investimenti e l’Europa vuole essere il vostro partner”, ha spiegato von der Leyen nel suo intervento. E tra le iniziative dell’Ue, la presidente della Commissione ha voluto rilanciare soprattutto il Global Gateway, il pacchetto di investimenti europei per il mondo che ha lo scopo non solo di aiutare i Paesi emergenti a sfruttare le proprie risorse puntando sulla transizione ecologica e le energie rinnovabili, ma anche quello molto più “prosaico” di frenare l’arretramento dell’Europa dall’Africa. L’ambiente diventa quindi una partita molto più complessa della semplice ecologia. E lo sviluppo del “green” va di pari passo con il desiderio Ue di rafforzare i propri investimenti e il proprio ruolo evitando quello che appare uno scenario potenzialmente catastrofico per la sicurezza del Vecchio Continente: un’Africa sempre più legata alle potenze d’Oriente e sempre meno saldata all’Europa.

Le potenzialità di questa nuova partnership sono già evidenti. Un esempio è l’accordo da 12 milioni di euro siglato tra Ue e Kenya per sviluppare l’industria dell’idrogeno verde. Tuttavia, a fronte dei possibili benefici, non mancano problemi contingenti e a lungo termine che devono essere tenuti in conto quando si parla di sfida geopolitica con altre potenze. Da un lato, non tutta l’Africa crede nella fumosa transizione ecologica a fronte di desiderio di crescita, richiesta di energia a basso costo e volontà di vendere i propri idrocarburi. Dall’altro lato, l’Ue vive una fase di profonda crisi della propria influenza sul continente, e lo dimostra quello che vive uno dei suoi più grandi retaggi coloniali: la Françafrique.
Come hanno testimoniato i recenti golpe, Parigi ha subito un sensibile ridimensionamento delle sue ambizioni africane. Le bandiere francesi – ammainate per far posto quelle russe – sono state un simbolo eloquente del cambiamento in corso, in particolare nella fascia del Sahel. Inoltre, parallelamente al ripensamento strategico transalpino nel continente, si deve osservare anche l’incapacità di molti Paesi europei di dare seguito alle proprie agende africane. La Germania tentenna, altri Stati sembrano scomparsi dall’area, l’Italia prova a conquistare spazi di manovra con l’ancora fumoso Piano Mattei, ma l’impatto risulta al momento aleatorio.

Il Regno Unito post-Brexit sembra concentrarsi su altri scenari. E tra disattenzione, mancanza di strategia e faide interne all’Ue – Libia docet – ad avanzare sono altre potenze. Oltre alla Russia, un ruolo di primo piano lo ha la Cina, inserita nei settori minerario, energetico, portuale e alimentare e diventata la grande leader esterna del continente africano. Gli Stati Uniti appaiono incapaci di impostare un piano in grado di frenare gli investimenti cinesi, molto meno attenti ad alcune questioni dirimenti per l’Occidente – non da ultimo il rispetto dei diritti umani – ma propensi ad accogliere le richieste di molti leader locali.
Nel frattempo, antichi e nuovi imperi fanno capolino. La Turchia, capace di tessere una trama di influenze che va ben oltre i confini dell’ex impero ottomano. Le potenze arabe, penetrate grazie al loro fiume di denaro derivante da gas e petrolio. E in questo contesto, l’Ue si trova in una posizione di svantaggio. Con ottime potenzialità ma anche con un divario da colmare in una fase di crisi della democrazia in Africa, di caos dilagante e di contemporanea perdita di leve negoziali: politiche ma anche economiche.