Politica
Manovra 2026, spunta un emendamento. Nuovi investimenti per la Difesa
Un maxiemendamento del governo rimette l’esigenza di dare priorità alla strategia di difesa italiana, autentica impellenza su cui ha a lungo pesato la distrazione generale. È una scelta politica netta. E arriva dopo anni di rimozione, sottovalutazioni, deleghe esterne. La manovra, al netto delle polemiche, prende atto di una realtà che l’Europa ha ignorato troppo a lungo: la sicurezza non è un capitolo accessorio, ma l’architrave di ogni politica pubblica credibile. Il maxiemendamento finito sotto accusa – a dirla tutta – non introduce alcuna svolta militarista. Introduce, semmai, una scelta di responsabilità. Mettere ordine. Dare trasparenza. Rafforzare le capacità industriali della difesa nazionale in un contesto segnato da guerre convenzionali, minacce ibride e competizione strategica permanente.
La riformulazione governativa agli emendamenti è chiara. Il testo stabilisce che «al fine di tutelare gli interessi essenziali della sicurezza dello Stato e di rafforzare le capacità industriali della difesa riferite alla produzione e al commercio di armi, di materiale bellico e sistemi d’arma, con uno o più decreti del ministro della Difesa di concerto con il ministero delle Infrastrutture e dei Trasporti sono individuate, anche con funzioni ricognitive e comunque nell’ambito delle risorse previste a legislazione vigente, le attività, le aree e le relative opere, nonché i progetti infrastrutturali, finalizzati alla realizzazione, ampliamento, conversione, gestione e sviluppo delle capacità industriali della difesa, qualificati come di interesse strategico per la difesa nazionale».
Manovra 2026, spunta un emendamento. Nuovi investimenti per la Difesa
La norma, rafforzata da un ulteriore emendamento che introduce il comma 9-bis all’articolo 60 della manovra, consente esplicitamente la realizzazione, l’ampliamento e la conversione di siti produttivi e infrastrutturali funzionali allo sviluppo della capacità industriale della difesa. Un passaggio che il governo rivendica come necessario per dotare il Paese di una filiera coerente, moderna e governabile. Alla dimensione industriale si affianca quella tecnologica. Un emendamento approvato in 5ª Commissione Bilancio al Senato autorizza infatti «per la promozione e il sostegno della ricerca e sviluppo nel settore delle tecnologie emergenti applicate alla difesa nazionale un contributo di euro 100.000 per l’anno 2026 a favore dell’Agenzia Industrie Difesa». La cifra è simbolica, ma il segnale è chiaro: la difesa non è solo armamenti, ma innovazione, ricerca, capacità dual use.
Le opposizioni protestano. Il Movimento 5 Stelle parla di “deriva”. I parlamentari pentastellati delle commissioni Bilancio e Finanze denunciano «la follia del maxiemendamento alla manovra e delle sue riscritture», accusando il governo di perseguire una «micidiale austerità finalizzata solo all’aumento delle spese militari». Per i 5 Stelle, il Paese non può permettersi crescita zero e crollo della produzione industriale «per far felici i danti causa di Giorgetti e Meloni». Sulla stessa linea, ma con toni ancora più duri, Angelo Bonelli parla di “emendamento-blitz” e denuncia la trasformazione dell’economia italiana in un’economia di guerra. L’idea che si possano difendere welfare, sviluppo e occupazione ignorando il fattore sicurezza è una comoda illusione novecentesca. Superata dai fatti. Dalla guerra in Ucraina. E già da prima, dalla competizione globale tra potenze.
Investire nella difesa non significa trasformare il Paese in un’economia di guerra. Significa proteggere filiere industriali, competenze, sovranità decisionale: la sicurezza non è di destra né di sinistra. È una precondizione della libertà. E su questo punto, la manovra segna una svolta necessaria. La tensione internazionale allontana, per altri versi, i fantasmi del rimpasto. «Non è alle viste, perché dovremmo?», taglia corto il senatore Marco Scurria, FdI. Sembrerebbe farci un pensierino, invece, Matteo Salvini. Che da due giorni ripete ai suoi di essere pronto a tornare al Viminale. Dal secondo colle di Roma è ieri arrivato un segnale chiaro, decretando lo sgombero del centro sociale Askatasuna a Torino. Come a dire: il ministro dell’Interno c’è, ed è al lavoro.
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